FIMAA VARESE

Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese

Vendita della casa in eredità, rimedi consensuali e rimedi giudiziali

 venerdì 4 agosto 2017 | in NEWS

Quali regole prevede la legge per la vendita di una casa ricevuta in eredità? Ed esistono altri rimedi, per quanto indiretti, per tentare di vendere contro la volontà degli altri?

Vediamolo qui.

Bene ereditato e comunione
Una volta passato nella proprietà degli eredi, nel caso in cui questi siano più di uno, il bene appartiene a tutti, sebbene eventualmente in quote diverse. In tali casi il bene è in proprietà in comunione degli eredi, con conseguente applicazione delle norme in materia di comunione, di cui agli artt. 1100 e ss. del codice civile.
Tipico problema, in questi casi è cosa fare del bene e con quale maggioranza assumere la decisione. Ovviamente, la situazione è di facile soluzione quando tutti vanno d'accordo e comunque sono disposti a comunicare tra di loro, ipotesi non scontata.
Come sappiamo, infatti, spesso divergenze annose o legate agli eventi della successione stessa, rendono difficile, se non impossibile, assumere le decisioni in comune.
Caso classico riguarda proprio la vendita dell'immobile: non tutti sono sempre dell'idea di vendere; ad es. in periodi di crisi, come questo, c'è chi preferisce attendere tempi migliori; se poi si è d'accordo sulla vendita non sempre si raggiunge l'accordo sulle condizioni di vendita (soprattutto sul prezzo).
Succede che così dei beni restino invenduti per anni, deprezzandosi inevitabilmente e mettendo a dura prova la pazienza dei malcapitati comproprietari.
Vendita tra consenso unanime...
La vendita deve infatti essere approvata da tutti, deve cioè avvenire con il consenso unanime. A disporlo è, senza lasciare spazi a incertezze, l'art. 1108 c.c., al co.3, a proposito di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione nell'ambito della comunione.
Cosa si può fare se non vi è unanimità? Cosa, può fare chi vuole vendere, se gli altri non vogliono? Direttamente, nulla. Nel senso, che certamente non può costringere altri a vendere un bene di cui sono proprietari, se non vogliono.
Un rimedio indiretto è quello, spettante a ciascun partecipante, di chiedere lo scioglimento della comunione e, dunque, la divisione.
Data la complessità della materia, certamente non esauribile in un articolo, qui non potremo che fare brevi cenni ad alcuni degli aspetti.
Consigliamo di rivolgersi ad un avvocato sin dai primi passi.
Questi i passi previsti dalla legge.
Per inciso, ciascun comproprietario può anche chiedere l'assegnazione in natura della propria quota in beni (naturalmente se ciò è possibile) (v. art.718 c.c.).
La divisione può avvenire in natura, se la cosa è comodamente divisibile in funzione delle quote dei partecipanti (v. art.1114 c.c.); se la cosa non è comodamente divisibile, bisogna preferire l'assegnazione ad uno di loro (tra quelli aventi diritto alla quota maggiore o a più di loro, se fanno richiesta congiunta), dietro conguaglio (v. art. 720 c.c.); se nessuno è disposto in tal senso, si procede con la vendita (v. art. 721 c.c.).
...o tramite azione legale
In caso di disaccordo tra i comproprietari, patti e condizioni della vendita verranno stabiliti dal giudice. Dunque non potrà ad es. certamente scegliersi l'acquirente, o il prezzo.
Si potrà chiedere lo scioglimento giudiziale della comunione e, in quella sede, se sarà necessario, il bene verrà venduto secondo le norme in materia di espropriazione immobiliare del codice di procedura civile ed il ricavato verrà distribuito tra tutti (v. art. 788 c.p.c.).
Il rimedio dunque c'è ma è molto costoso, per cui va considerato come l'estrema, ultima spiaggia.
Il giudice potrà considerare tutti i passi suindicati quanto a divisione in natura e vendita.
Per completezza si aggiunge che il codice di procedura civile prevede oggi un altro rimedio, per i casi in cui non vi è disaccordo sul diritto alla divisione né sulle quote o ad altre questioni pregiudiziali.
Si tratta del ricorso congiunto da parte dei comproprietari ex art.791-bis c.p.c., in seguito al quale viene affidato ad un professionista il compito di predisporre il progetto di divisione e di disporre la vendita dei beni non comodamente divisibili.
Compito che, in verità, può essere affidato sempre, anche fuori dalle aule giudiziarie, ad un notaio scelto dalle parti o nominato dal tribunale (art. 730 c.c.).
Divisione e mediazione obbligatoria
Le controversie in materia di divisioni sono tra le materie per cui il D.Lgs. n. 28/2010 all'art. 5, prevede il tentativo, di mediazione civile obbligatorio, quale condizione, cioè, di procedibilità della domanda giudiziale.
Per quanto secondo molti esso sia uno dei tipici casi di inutilità della mediazione - soprattutto perché non convince l'idea che venga imposto alle parti di cercare un accordo che certamente per anni esse hanno cercato e che quando si determinano all'azione giudiziale oramai, tutti i tentativi sono stati esperiti - in realtà, a parere di chi scrive, è un passaggio che dovrebbe essere considerato con più attenzione.
Innanzitutto, a parere di chi scrive, bisognerebbe cambiare prospettiva: se cioè le parti arrivassero a considerare normale, non essendoci riuscite da sole, chiedere aiuto ad un terzo perché faciliti l'accordo, non si potrebbe opporre più l'argomentazione secondo cui "le parti ormai si sono decise a fare causa": infatti, dovremmo dire ciò solo una volta fallito, anche, il tentativo di mediazione.
Inoltre, e soprattutto, l'accordo potrebbe soddisfare molto di più dell'azione legale, potendo soddisfare maggiormente i desiderata dei singoli (sempre nel rispetto delle norme) e a tempi e costi inferiori.

Fonte www.condominioweb.com