Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese
martedì 28 maggio 2019 | in NEWS
Una anziana zia, proprietaria di alcuni appartamenti, vorrebbe permettere al nipote di vivere in uno di questi, senza cedergli la proprietà, come fare?
Ad una domanda come questa, la quasi totalità degli esperti risponde con la possibilità di costituire un diritto di usufrutto. Quest’ultimo è sicuramente il più famoso e utilizzato dei diritti reali su cosa altrui ma non è l’unico.
A dire il vero, esiste un altro diritto reale altrettanto utile e pensato per rispondere a tali esigenze: il diritto di abitazione. Ma che differenza c’è tra i due?
Il diritto di usufrutto
Quanto all’usufrutto, il nostro codice civile all’articolo 981 c.c. ne individua il contenuto affermando che l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa altrui, ma deve rispettarne la destinazione economica impressa dal proprietario.
Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare. Ciò significa che l’usufruttuario ha il diritto di esercitare sul bene un potere analogo a quello del pieno proprietario e, per esempio, può affittarlo o locarlo e godere dei frutti, ed anche cedere il proprio diritto, pur sempre nei limiti dello stesso, nel rispetto del noto brocardo latino “Nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet”.
Deve precisarsi che, rispetto alla piena proprietà, l’usufrutto è un diritto temporaneo la cui la durata non può eccedere la durata della vita dell’usufruttuario. Qualora, invece, l’usufrutto venga costituito a favore di una persona giuridica, la sua durata non potrà eccedere i trent’anni.
La fortuna del diritto di usufrutto e il suo largo utilizzo nella prassi derivano proprio dall’ampio fascio di facoltà di cui è titolare l’usufruttuario. Tanto è vero che, solo nel caso di convivenza tra proprietà ed usufrutto su un medesimo bene, il codice civile parla di nuda proprietà, proprio per ben descrivere lo svuotamento delle facoltà di godimento che il proprietario subisce con la costituzione dell’usufrutto stesso. A questi, di fatto, non resta che l’aspettativa di veder ri-espanso il proprio diritto di piena proprietà che si avrà solo con l’estinzione dell’usufrutto.
Secondo la dottrina maggioritaria, infatti, il termine nudo proprietario sarebbe proprio solo della compresenza di proprietà/usufrutto sul medesimo bene e non delle altre ipotesi di convivenza della proprietà con altri diritti reali minori, come nel caso del diritto di abitazione, a testimonianza del fatto che il diritto di cui gode l’habitator (di cui ora parleremo) è diverso e limitato rispetto a quello dell’usufruttuario.
Il diritto di abitazione
Se l’usufrutto è il maggiore e più conosciuto dei diritti reali su cosa altrui, tanto da essere disciplinato in più di 40 articoli del codice civile, come detto, non è l’unico.
Infatti, al fine di rispondere ad esigenze specifiche della vita quotidiana, vi sono altri diritti reali su cosa altrui, detti minori, poiché attribuiscono poteri quantitativamente meno estesi di quelli attribuiti all’usufruttuario ma qualitativamente pensati ad hoc per determinate necessità.
Concentrando l’attenzione sul diritto di abitazione, questo è disciplinato dall’art. 1022 c.c., sistematicamente collocato nel codice civile dopo usufrutto ed uso, il quale afferma che: “chi ha diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia“.
Come l’usufrutto, quindi, anche l’abitazione è un diritto reale di durata temporanea che, una volta costituito, limita per tutta la sua durata il potere del proprietario. Bisogna subito sottolineare però che, rispetto all’usufrutto, l’abitazione si differenzia sia con riferimento all’oggetto sia con riferimento al titolare del diritto stesso e al suo potere di godimento.
Quanto al primo, mentre oggetto di usufrutto può essere qualsiasi bene, mobile o immobile, purché suscettibile di godimento, oggetto del diritto di abitazione può essere soltanto una casa. Ciò si spiega dal momento che l’essenza stessa di tale diritto consiste nel permettere all’habitator di viverci insieme con la propria famiglia.
Quanto al titolare, cd. habitator appunto, si ritiene che possa essere solo una persona fisica, poiché sarebbe difficile configurare l’esigenza di abitare una casa per una SpA o una associazione. Il diritto di abitazione è infatti fortemente caratterizzato dall'”intuitus personae”. Ma precisamente cosa significa?
Significa che l’habitator può vivere nella casa limitatamente ai suoi bisogni e quelli della sua famiglia (cfr. art. 1022 c.c.). Questo bisogno abitativo ovviamente varierà a seconda della condizione economica e sociale del titolare, il quale potrà goderne solo personalmente e direttamente. Questo ulteriore elemento personalistico dell’abitazione comporta l’inammissibilità di un godimento indiretto del bene, come sancito dall’articolo 1024 c.c. il quale dispone che: “il diritto di abitazione non si può cedere o dare in locazione“.
E’, quindi, evidente la distanza dall’usufrutto, il cui unico limite è il mantenimento della destinazione economica del bene così come impressa dal proprietario.
L’usufruttuario ha il potere di godere dei frutti prodotti dalla cosa, per esempio affittando l’immobile e riscuotendo i canoni mensili. L’habitator potrà solo vivere nella casa insieme alla propria famiglia, e l’esercizio di questo diritto sarà strettamente connesso alle esigenze del titolare, pur non potendo scendere al di sotto dei “bisogni dell’uomo civile in condizioni normali di civiltà“, come espressamente affermato dal Consiglio Nazionale del Notariato in uno studio del 1999.
Difatti, continua il CNN, “non si può ammettere che una famiglia povera, abituata a vivere in una baracca o in un seminterrato, debba continuare a rimanere priva di quello spazio e di quelle comodità, che sono oggi conformi alle abitudini e alle esigenze medie“.
Il consiglio del notaio Massimo d’Ambrosio
Da quanto detto, è evidente che qualora l’intenzione delle parti sia solo quella di garantire ad una persona ed alla sua famiglia un tetto sotto cui dormire, sarà meglio costituire un diritto di abitazione.
Scegliendo di attribuire l’usufrutto, il titolare potrebbe affittare il bene a terzi per godere dei frutti, così disattendendo il motivo per cui lo si era concesso. Diversamente, scegliendo il diritto di abitazione, si è sicuri che il titolare tragga dal bene proprio quel vantaggio voluto dal proprietario, ed inoltre, nell’esercizio del suo diritto non potrà mai eccedere quanto necessario alle sue esigenze familiari, ragion per cui può correttamente dirsi che il diritto di abitazione si modella come un abito sartoriale cucito appositamente per il suo titolare
Fonte "Blog del Notaio Massimo d'Ambrosio