Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese
mercoledì 7 marzo 2018 | in NEWS
Un erede può rivendicare, grazie all’usucapione, la proprietà esclusiva su un immobile ereditato e mai diviso con gli altri eredi?
Può capitare che una casa passi in successione a più di eredi e che a ciascuno di essi spetti una quota così insignificante da portarli a disinteressarsi tutti della proprietà. Di solito, in queste situazioni è assai difficile vendere l’immobile, stante la necessità di trovare un’intesa tra i vari eredi, spesso in disaccordo tra loro, tanto più se numerosi. Qualora poi uno di essi abbia già in uso l’immobile o inizi a utilizzarlo nella tacita indifferenza degli altri si apre per lui la possibilità di rivendicare l’intera proprietà tramite l’usucapione. In pratica ne diventa titolare. In che modo? Non basta solo il possesso esclusivo del bene per 20 anni e il tacito consenso degli altri eredi, ma anche il compimento di atti che manifestino, in modo inequivoco, la sua volontà di atteggiarsi a unico proprietario, escludendo tutti gli altri. Su queste basi è ben possibile l’usucapione sulla casa in eredità. Ma procediamo con ordine e vediamo in quali casi un erede, che sia titolare di una semplice quota di un immobile, può escludere gli altri coeredi e rivendicare l’intero bene a suo favore.
Quando si parla di usucapione ci si riferisce al passaggio di proprietà che un immobile fa da una persona a un’altra quando la prima si disinteressa del proprio bene e l’altra invece, dopo essersene impossessata (purché non in modo violento o clandestino), lo utilizzi come se fosse proprio. Ci vogliono 20 anni perché si compi l’usucapione. Ma questo termine non inizia a decorrere da quando il terzo ha iniziato a utilizzare l’altrui bene, ma da quando ha compiuto atti tali da manifestare – alla luce del sole – la sua intenzione di atteggiarsi a proprietario esclusivo: il cambio di una serratura, l’elevazione di un muro di cinta, la ristrutturazione, il taglio di alberi o la modifica di destinazione dell’area. Ben si potrebbe avere, quindi, l’usucapione su un bene appartenente a più persone se uno dei contitolari, nell’utilizzarlo in modo esclusivo (ossia senza condividerlo con gli altri) impedisca a tutti quanti di farne pari uso. L’esempio tradizionale è proprio in materia di eredità. Per comprendere meglio come funziona questo sistema facciamo un esempio.
Immaginiamo una compagine di sei eredi, tutti proprietari di una quota su una casa lasciata dal defunto. L’immobile presenta scarso valore commerciale perché vecchio e abbandonato. È necessario procedere alla ristrutturazione, ma nessuno vuol sborsare un euro, ben sapendo che la propria quota impedirebbe qualsiasi utilizzo o vantaggio. In più ci sono le tasse da pagare. Anche l’affitto diventa impossibile se prima la casa non viene ammodernata. Gli eredi non si mettono d’accordo neanche sulla vendita per l’ostruzionismo di un paio di essi. Uno, in particolare, inizia a sfruttare il bene, a viverlo e a farne un uso personale, cosa che fa apertamente e nel tacito consenso degli altri visto che, poco alla volta, sta rimettendo in piedi l’abitazione, paga le utenze e tiene “vive” le mura. Avvia anche una piccola ristrutturazione e rifà la porta di ingresso, cambiando la serratura e non dando le chiavi agli altri eredi. Passano 20 anni e il possessore cita in tribunale tutti gli altri eredi, rivendicando nei loro confronti l’acquisto della proprietà a titolo di usucapione. Può farlo? La legge lo tutela. Ecco perché.
Secondo la giurisprudenza, si può usucapire un immobile avuto in eredità a condizione che l’utilizzatore, per almeno 20 anni, usi il bene come se fosse il proprio, escludendo dal possesso tutti gli altri coeredi. Egli, all’inizio del ventennio, deve aver posto in essere uno o più atti tali da manifestare la sua intenzione di atteggiarsi a proprietario esclusivo: la ristrutturazione dell’immobile, la realizzazione di un cancello o di un recinto, il cambio della serratura, ecc. È proprio da questo momento che inizia a decorrere il termine della prescrizione. Termine che può essere interrotto da uno qualsiasi degli altri eredi, ma non con una semplice lettera di diffida: è necessaria la notifica di un atto giudiziale di reintegra nel possesso.
Insomma, l’usucapione dei beni ereditati si può verificare ma solo se ricorrono tutte queste condizioni che, sinteticamente, possiamo così elencare:
Note:
[1] Trib. Tivoli, sent. n. 797/2010: Ai fini della prova dell’usucapione del bene in comunione non è sufficiente che il comproprietario erede abbia compiuto atti di gestione, occorrendo per contro la prova che il comproprietario usucapente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale da evidenziare, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, un’inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri comproprietari ogni atto di godimento, o di gestione.
Fonte "La Legge per Tutti - Informazione e consulenza legale"