FIMAA VARESE

Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese

L'evoluzione del mercato e dei valori delle case

 giovedì 14 settembre 2017 | in NEWS

Una tassazione troppo pesante per un settore che non è più lo stesso

Italia - È da qualche tempo che Guglielmo Pelliccioli ci fa riflettere sui valori immobiliari, in particolare dell’abitativo, e circa la necessità di mantenere nel tempo detto valore, sia per il nuovo costruito, sia per l’usato da ristrutturare. In un articolo Guglielmo dichiara il suo “stupore” di fronte al fatto che ancora oggi alcuni specialisti del settore si ritengono anch'essi “stupiti” perchè il valore delle case non accenna a riprendere in forma generalizzata come accadeva in passato, nonostante si avverta che la domanda di casa appaia in crescendo. La giustificazione che viene data dall’autore appare chiara e inequivocabile. Paragona giustamente la casa ad una vettura e, in un secondo articolo, al vino.
Il primo paragone sottolinea che l’automobile, seppur a costi ben più contenuti della casa, ci ha abituato al libretto di istruzione e di manutenzione mentre la casa, anche in presenza specie oggi di un’impiantistica di tutto rispetto, quasi sempre non dispone di nessuna “istruzione per l’uso” per mantenerla efficiente sulla base di elementi certi. Il secondo esempio, complementare al primo, sottolinea che più il vino è buono più alto è il suo prezzo, mentre se il vino è scadente, perché di bassa qualità, nel tempo si deteriora ulteriormente e quindi perde di valore. Precisa che la stessa cosa vale oggi per la casa. Infatti case con tecniche non “aggiornate” alle attuali esigenze, anche se non “vecchie”, non è più possibile che possano nel tempo aumentare di valore o anche solo mantenerlo, come accadeva sistematicamente in passato. Anzi, proprio perché il nostro patrimonio nazionale abitativo è decisamente carente rispetto a quanto si desidera oggi per l’abitazione, è probabile che la maggior parte delle nostre case non sarà più in grado di generare capital gain. In sostanza possiamo con tranquillità affermare che nella storia del mercato immobiliare, per un certo periodo le case hanno potuto, godere di un interessante e continuo capital gain. Dobbiamo renderci conto che con questa ultima lunga e pesante crisi si è segnato un punto di non ritorno. Se la casa merita, nei termini che Guglielmo richiama spesso, la stessa sarà sempre il salvadanaio delle famiglie; in caso contrario, vale a dire in presenza anche di semplice obsolescenza, il valore non potrà che assottigliarsi nel tempo in modo direttamente proporzionale alle carenze tecniche costruttive che la stessa casa presenta, esattamente come accade per il valore della vettura usata o per il vino di cattiva qualità. Per fortuna i professionisti del settore, tecnici, progettisti, sviluppatori, costruttori (compresi quelli dell’intera catena dell’impiantistica), il mondo della finanza, intermediari, ecc. hanno in questi ultimi tempi capito quale è il giusto orientamento del mercato. Anche i consumatori, intesi come proprietari o futuri acquirenti di casa, finalmente cominciano a rendersi conto che questa è la nuova rigida regola del mercato di settore. Nonostante questo nuovo quadro, che spinge gli interessati all’attenzione della buona qualità dell’abitazione, vi sono alcune difficoltà che sono da rimuovere perché rendono sempre difficile il percorso indicato a sostegno del mercato dell’abitativo. Il mercato della casa in Italia propone ancora troppo invenduto “del nuovo costruito”, ultimato da anni (già in piena crisi di mercato) ma sempre nella convinzione di spuntare i prezzi di un tempo e forse ancora sperando di contare in una ripresa del mercato ante crisi. Se verifichiamo i tempi per addivenire alla costruzione di questi “nuovi” immobili scopriamo che nella generalità sono stati progettati e poi costruiti mediamente con criteri, tecniche e richiesta del mercato di almeno dieci anni fa. È del tutto evidente che le tecniche costruttive, in particolare l’impiantistica di allora, la possibilità concreta di una superata richiesta di mercato di zona, ecc. sono ormai un peso, anche solo per obsolescenza, e rendono il costruito già vecchio pur essendo in vendita come nuovo!
È un aspetto che, con un poco di lungimiranza, andava preso in seria considerazione dall’inizio della crisi. Avrebbero dovuto essere tempestivamente messe in campo forme di incentivazione tendenti all’utilizzo immediato di queste nuove case togliendole da un mercato della compravendita che si faceva troppo pesante. Bastava iniziare da subito e con convinzione proponendo l’affitto con la relativa promessa di acquisto se pure con atto differito. Il nostro governo e le banche, purtroppo, sono arrivate troppo tardi a comprendere l’importanza di questa strategia e, se pure involontariamente, in questo torpore hanno visto fallire troppe imprese di costruzione e prendere il via in questi ultimi anni troppi contenziosi bancari (NPL). Vi è chi all’inizio di questa grande crisi aveva intuito il problema e aveva proposto a diverse banche la forma dell’affitto a riscatto futuro con aspetti ritenuti interessanti sia per il costruttore, sia per l’utilizzatore che per l’istituto finanziatore e sempre nell’alveo delle leggi allora in vigore. Purtroppo, allora, di questa proposta non se ne fece nulla perché lo Stato e le banche, specie per le innovazioni se proposte da esterni, spesso sono poco inclini a raccoglierle. Quando il Governo ha colto l’esigenza, legiferando in modo specifico il rent-to-buy (L .164/2014), era ormai troppo tardi e, oltre alle imprese già fallite, il nuovo costruito risultava non più facilmente vendibile perché, pur essendo nuovo, come già detto, risultava “tecnicamente” superato. È un poco quanto è accaduto per il prestito vitalizio ipotecario (PVI): vale a dire il prestito per gli anziani con garanzia sulla casa, per consentire loro di rimanere nella propria abitazione e al tempo stesso beneficiare di un certa cifra dall’erogazione di un mutuo per le necessità correnti. Ebbene il problema è stato studiato da alcuni tenendo conto delle reali esigenze di tutte le parti interessate ma, pur proposta l’idea alle banche, la stessa non ebbe seguito sempre per i motivi sopra detti e fu facile anche far prevedere ai relatori della stessa legge che così come impostata non avrebbe avuto alcun successo come, purtroppo, di fatto è avvenuto, vanificando lo scopo della stessa legge (L. 02/04/2015 n°44 sostitutiva della precedente del 2005 n°248 che già non aveva avuto successo). Purtroppo le cose vanno così!
Tornando ai problemi del mercato della casa, un altro aspetto ritenuto ancora di assoluta importanza è quello fiscale. Lo Stato finge ancora oggi di non cogliere che nell’abitativo il calpital gain è, nella generalità dei casi, venuto meno. Lo prova il fatto che, nel legiferare il fisco per la casa, sempre lo Stato ha dato prova anche in modo palese di prestare sempre molta attenzione all’effetto sempre positivo del capital gain. A solo titolo di esempio è la norma, ancora in vigore oggi, che se un soggetto compera casa e la rivende nei cinque anni dall’acquisto è fortemente a rischio di accertamento fiscale per il potenziale aumento di valore maturato nel tempo di possesso. Questo è solo un esempio eclatante e oggi decisamente anacronistico. In vero, nella sostanza, tutta la politica fiscale della casa è sempre stata palesemente condizionata e ancorata alle felici aspettative della rivalutazione, altrimenti non si comprenderebbe il mantenimento del dispositivo portato ad esempio e il pesante carico fiscale imposto nelle più svariate forme sulle nostre abitazioni. Oggi purtroppo non è più così, ma il forte peso fiscale rimane e condiziona pesantemente, e ingiustamente, un settore già in crisi e, in particolare, ancora più depresso per le seconde case proprio perché ancora più tassate dal fisco rispetto alla prima casa. È evidente che lo Stato appare anacronisticamente ancorato al fatto che la casa, indipendentemente dalle sue qualità costruttive, di vetustà e di localizzazione, produce generalizzato reddito potenziale se tenuta a disposizione o reale se affittata, e finge di non rendersi conto che, obiettivamente, il capital gain sulla casa ha cessato di esistere. In sostanza, tiene in vita un fisco ingiusto, del tutto anacronistico e in controtendenza rispetto ai redditi e ai valori reali, appesantendo quindi ulteriormente il mercato della compravendita di abitazioni. Da rilevare che poi detto atteggiamento finisce per colpire maggiormente i proprietari di case modeste che hanno, proprio per questo, minor mercato e spesso sono anche invendibili. Le stesse sono infatti le prime che risentono anche del mercato asfittico in conseguenza dell’inverno demografico italiano che si ripercuote anche nel mercato delle abitazioni in offerta e, nel contempo venendo meno la domanda, finisce per colpire principalmente le case partendo proprio da quelle troppo modeste. Non è certo solo tutto quanto qui trattato la causa di indebolimento del mercato di settore ma, per non approfittare oggi eccessivamente di un lettore già troppo paziente, mi riservo di tornare a completare l’argomento in una successiva occasione.