FIMAA VARESE

Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese

Gli aspetti soggettivi della prelazione agraria

 mercoledì 15 maggio 2019 | in NEWS

La prelazione agraria ha una grande rilevanza nella contrattazione per la compravendita dei fondi agricoli. Nella pratica, infatti, rappresenta il secondo aspetto che deve affrontare chi ha intenzione di acquistare un fondo agricolo (il primo è ovviamente quello delle agevolazioni fiscali).
La disciplina legislativa della prelazione agraria, però, è rimasta sostanzialmente ferma agli anni ’60 e ’70 e del secolo scorso, e non tiene conto della realtà dell’agricoltura italiana, che sta affrontando un passaggio generazionale e, grazie alla nuova disciplina dell’imprenditore agricolo professionale e delle società agricole, sta cercando di acquisire la struttura necessaria per rimanere competitiva in uno scenario economico sempre più globalizzato.
A complicare ulteriormente la situazione, le norme sulla prelazione agraria sono sempre state molto sintetiche, e hanno dato origine a una lunga serie di dubbi interpretativi.
di Paolo Tonalini notaio
Oggi la prelazione agraria è dunque disciplinata da poche norme dettate dal legislatore molto tempo fa, e da una serie di sentenze in cui i giudici, nell’arco di mezzo secolo, hanno fornito le loro interpretazioni, spesso contrastanti, per colmare le lacune normative.
Nella definizione di prelazione agraria rientrano due distinti diritti di prelazione, soggetti a regole in parte diverse e rispondenti a differenti finalità. Da una parte c’è la prelazione riconosciuta all’affittuario del fondo, dall’altra quella del proprietario del fondo confinante con quello offerto in vendita.
Il diritto di prelazione agraria spetta tradizionalmente al coltivatore diretto, sia quale affittuario del fondo offerto in vendita (art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590), sia quale proprietario del fondo confinante con quello offerto in vendita (art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817).
La riforma dell’impresa agricola ha esteso il diritto di prelazione per l’acquisto dei terreni condotti in affitto o confinanti alle società agricole di persone (società semplici, s.n.c., s.a.s.) in cui almeno la metà dei soci è in possesso della qualifica di coltivatore diretto (d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, modificato dal d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101).
Più recentemente, il diritto di prelazione agraria per l’acquisto del fondo confinante è stato esteso agli imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti nella gestione previdenziale agricola dell’Inps (art. 1, terzo comma, della legge 28 luglio 2016, n. 154, che ha introdotto il numero 2-bis nel primo comma dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817).
Agli imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti nella gestione previdenziale agricola dell’Inps spetta però il diritto di prelazione solo in qualità di proprietari del fondo confinante, e non quali affittuari del fondo offerto in vendita.

Il coltivatore diretto
La disciplina della prelazione agraria è sempre stata tradizionalmente centrata sulla figura del coltivatore diretto. Solo recentemente il diritto di prelazione è stato esteso all’imprenditore agricolo professionale (Iap), ma solo quando egli è proprietario del fondo confinante, e non quando è affittuario del fondo offerto in vendita.
L’art. 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590, stabilisce che al fine dell’applicazione delle norme sulla prelazione agraria “sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento ed al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame”. Precisa inoltre che “Nel calcolo della forza lavorativa il lavoro della donna è equiparato a quello dell’uomo”.
Il lavoro proprio e dei familiari del coltivatore diretto era inteso in origine come lavoro essenzialmente manuale, e questo limitava fortemente la possibilità di crescita dimensionale dell’azienda agricola. Per quanto numerosi potessero essere i familiari, e anche dando per scontato che tutti si dedicassero, senza eccezioni, al lavoro manuale nei campi (come normalmente avveniva nel mondo agricolo preso a riferimento dal legislatore), l’azienda agricola a coltivazione diretta non poteva superare una certa dimensione, comunque piccola secondo gli standard attuali. Nel corso degli anni, però, lo sviluppo nella meccanizzazione delle colture agricole ha consentito un notevole incremento della superficie di terreno coltivabile da un singolo soggetto, e un conseguente aumento dimensionale delle aziende agricole gestite dai coltivatori diretti.
La figura del coltivatore diretto che aveva presente il legislatore nel 1965 era sicuramente molto diversa da quella che troviamo oggi nelle nostre campagne, e molto diverso era anche lo scenario generale. Nel secondo dopoguerra, da una parte c’era il coltivatore diretto, dall’altra c’era il latifondo, la grande proprietà terriera lavorata da braccianti salariati, e in questo scenario l’attenzione del legislatore era dedicata al primo. Il coltivatore diretto era una specie protetta, da tutelare con ogni mezzo per assicurargli una possibilità di sopravvivenza contro un potere economico “forte”, che lo avrebbe altrimenti schiacciato. Dietro questa scelta, naturalmente, stava anche un ragionamento di opportunità politica.
Ai fini della prelazione agraria, dunque, il coltivatore diretto è chi si dedica direttamente e abitualmente alla coltivazione dei fondi e all’allevamento del bestiame, purché la forza lavoro dell’agricoltore e dei componenti del suo nucleo familiare che collaborano con lui nell’esercizio dell’attività non sia inferiore a un terzo di quella occorrente per le normali necessità dell’azienda agricola.
La Corte di Cassazione è intervenuta ripetutamente per interpretare e precisare la definizione dettata dal legislatore.
Diverse sentenze hanno riconosciuto la qualifica di coltivatore diretto, al fine del riconoscimento del diritto di prelazione, anche a chi coltiva il fondo in modo non professionale, purché stabilmente e abitualmente (quindi in modo non occasionale), e quindi anche a chi svolge un’altra attività lavorativa principale, da cui trae un reddito superiore a quello derivante dall’attività agricola (si veda per esempio Cass. n. 12374 del 10 ottobre 2001; Cass. n. 759 del 23 gennaio 1995; Cass. n. 632 del 31 gennaio 1986; Cass. n. 245 del 15 gennaio 1982; Cass. n. 1289 del 7 marzo 1981). E’ stato considerato coltivatore diretto persino chi si dedica alla coltivazione del fondo per destinarne i frutti al consumo proprio, senza trarne alcun reddito, argomentando che la nozione di coltivatore diretto dettata dalla legge 26 maggio 1965, n. 590, non coincide con quella di piccolo imprenditore agricolo di cui all’art. 2083 del codice civile (Cass. n. 6563 del 19 dicembre 1980).
Da ciò discende che, secondo la giurisprudenza, la qualifica di coltivatore diretto, al fine del riconoscimento del diritto di prelazione, non richiede l’iscrizione al registro delle imprese, né l’iscrizione in albi o elenchi, e trattandosi di una circostanza di fatto la relativa prova può essere fornita con ogni mezzo, anche mediante prova testimoniale e per presunzioni (si veda per esempio Cass. n. 19748 del 27 settembre 2011; Cass. n. 1020 del 19 gennaio 2006; Cass. n. 2505 del 21 febbraio 2002; Cass. n. 4769 del 1° settembre 1982). Al fine del riconoscimento del diritto di prelazione, dunque, non è necessaria neppure l’iscrizione all’INPS nella gestione previdenziale e assistenziali dei coltivatori diretti, che se presente è considerata solo come elemento indiziario, trattandosi di un dato puramente formale.
La giurisprudenza ha anche precisato anche che non si applica l’art. 2, secondo comma, della legge 29 novembre 1962 n. 1680 (secondo cui l’esistenza delle condizioni previste per il riconoscimento della qualità di coltivatore diretto deve essere attestata dall’ispettorato provinciale agrario, sentito il competente ufficio delle imposte dirette), dettato ad altri fini (Cass. n. 4769 del 1 settembre 1982; Cass. n. 3194 del 24 maggio 1984).
Secondo la giurisprudenza, il diritto di prelazione spetta anche al coltivatore diretto che si avvale di contoterzisti per le operazioni più importanti e complesse nell’ambito della coltivazione del fondo, trattandosi di pratica ordinaria e diffusa (Cass. n. 10626 del 26 ottobre 1998).
La Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto di prelazione anche al coltivatore diretto di età avanzata che ha dimostrato di svolgere effettivamente attività di direzione dei lavori di coltivazione del fondo (Cass. n. 12249 del 25 maggio 2007, riferita a un caso in cui il coltivatore diretto aveva 86 anni).
Ricordiamo infine che secondo la giurisprudenza non spetta il diritto di prelazione a chi svolge soltanto l’attività di allevamento del bestiame, dovendo questa attività essere connessa a quella di coltivazione del fondo (si veda, per esempio, Cass. n. 13927 del 27 dicembre 1991).
Dall’interpretazione giurisprudenziale emerge dunque una figura di coltivatore diretto diversa da quella prevista al fine delle agevolazioni fiscali per l’acquisto dei terreni agricoli (piccola proprietà contadina), per le quali è indispensabile l’iscrizione nella gestione previdenziale e assistenziale agricola dell’INPS (art. 2, comma 4-bis, del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194, inserito in sede di conversione dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25 e successivamente modificato dall’art. 1, comma 41, della legge 13 dicembre 2010, n. 220).

La società di coltivazione diretta
La riforma dell’impresa agricola (d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, modificato dal d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101) ha esteso il diritto di prelazione per l’acquisto dei terreni condotti in affitto o confinanti alle società agricole di persone (società semplici, s.n.c., s.a.s.) in cui almeno la metà dei soci è in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Rimane dunque un collegamento con la figura del coltivatore diretto, a cui è tradizionalmente riservato il diritto di prelazione. Ciò che conta è il numero dei soci, indipendentemente dalla loro quota di partecipazione, dato che il legislatore non ha fatto riferimento alla metà del capitale sociale.
Ricordiamo che per essere considerata società agricola la società di persone deve avere come oggetto esclusivo l’esercizio dell’agricoltura e delle attività connesse, (individuate dall’art. 2135 del codice civile), la ragione sociale deve contenere l’indicazione “società agricola”, e almeno uno dei soci deve essere in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale, mentre gli altri soci possono anche non essere agricoltori, indipendentemente dal loro numero. Nelle società in accomandita semplice (s.a.s.) deve essere coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale almeno un socio accomandatario.
Il diritto di prelazione, dunque, non spetta a tutte le società agricole di persone, ma solo a quelle in cui almeno la metà dei soci è in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Sono escluse dal diritto di prelazione le società agricole di persone in cui meno della metà dei soci è coltivatore diretto, indipendentemente dalla presenza di imprenditori agricoli professionali, e sono sempre escluse le società di capitali, anche in presenza di soci coltivatori diretti.

Le cooperative agricole
Il diritto di prelazione dell’affittuario è stato esteso anche alle cooperative agricole di coltivatori della terra (art. 16 della legge 14 agosto 1971 n. 817). In questo caso imprenditore agricolo è la cooperativa, non i singoli soci, che possono anche non essere coltivatori diretti ma braccianti agricoli (Cass. n. 5577 del 18 giugno 1996; Cass. n. 151 del 13 gennaio 1986).
La lettera della legge fa riferimento solo al diritto di prelazione dell’affittuario, richiamando espressamente l’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, ma c’è chi ritiene che si applichi anche alla prelazione del confinante (art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817).
Più recentemente, il diritto di prelazione è stato esteso anche alle cooperative di imprenditori agricoli che utilizzano, per lo svolgimento delle attività di cui all’articolo 2135 del codice civile, prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico (considerate imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 22), quando almeno la metà degli amministratori e dei soci è in possesso della qualifica di coltivatore diretto, come risultante dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui agli articoli 2188 e seguenti del codice civile (art. 7-ter del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, introdotto dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116).
In questo caso, la legge fa espresso riferimento al diritto di prelazione di cui all’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, e all’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, pertanto a questo tipo di cooperative agricole spetta il diritto di prelazione sia quale affittuario, sia quale confinante.
Possiamo anche notare che per la prima volta il legislatore ha fatto espresso riferimento all’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese quale criterio per verificare la qualifica di coltivatore diretto, in aperto contrasto con la giurisprudenza consolidata, che nell’ambito della normativa sulla prelazione ha sempre ritenuto irrilevante, ai fini della qualifica di coltivatore diretto, l’iscrizione al registro delle imprese, come in altri albi o elenchi, facendo riferimento solo all’esercizio di fatto dell’attività.

L’imprenditore agricolo professionale
La riforma dell’impresa agricola ha introdotto la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (Iap), a cui ha esteso tutte le agevolazioni tributarie in materia di imposte indirette e creditizie in precedenza riservate ai coltivatori diretti (d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, modificato dal d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101).
Agli imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti nella gestione previdenziale agricola dell’Inps spetta anche il diritto di prelazione agraria per l’acquisto del fondo confinante (art. 1, terzo comma, della legge 28 luglio 2016, n. 154, che ha introdotto il numero 2-bis nel primo comma dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817), mentre il diritto di prelazione dell’affittuario è rimasto prerogativa esclusiva del coltivatore diretto, singolo o associato.
Ricordiamo invece che, secondo l’interpretazione assolutamente prevalente, i beneficiari del diritto di prelazione agraria non erano stati ampliati dall’art. 7 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, che ha introdotto i criteri di preferenza da seguire in caso di esercizio del diritto di prelazione da parte di più coltivatori diretti confinanti. Questa norma, infatti, prevede che “nel caso di più soggetti confinanti, si intendono, quali criteri preferenziali, nell’ordine, la presenza come partecipi nelle rispettive imprese di coltivatori diretti e imprenditori agricoli a titolo principale di età compresa tra i 18 e i 40 anni o in cooperative di conduzione associata dei terreni, il numero di essi nonché il possesso da parte degli stessi di conoscenze e competenze adeguate ai sensi dell’articolo 8 del regolamento (CE) n. 1257/99 del Consiglio, del 17 maggio 1999.”. Ciò non significa che il legislatore avesse voluto estendere il diritto di prelazione agli “imprenditori agricoli a titolo principale” (ora imprenditori agricoli professionali), essendosi limitato a dettare i criteri da utilizzare per dirimere il conflitto tra più confinanti aventi diritto alla prelazione in base alle previsioni della legge n. 590 del 1965 e della legge n. 817 del 1971.

Le società agricole
Nonostante il riferimento generico all’imprenditore agricolo professionale sembri comprendere anche le società agricole, che come è noto possono ottenere tale qualifica, ci sono molti dubbi sulla possibilità di applicare a tutte le società agricole la norma che estende il diritto di prelazione del confinante all’imprenditore agricolo professionale (Iap) iscritto nella previdenza agricola (art. 1, terzo comma, della legge 28 luglio 2016, n. 154, che ha introdotto il numero 2-bis nel primo comma dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817).
Questa norma, infatti, richiede espressamente che l’imprenditore agricolo professionale sia “iscritto nella previdenza agricola”, e questa è una caratteristica specifica delle persone fisiche, che manca alle società.
L’interpretazione letterale della nuova norma porterebbe dunque a concludere che le società agricole, pur avendo la qualifica di imprenditore agricolo professionale, non possono beneficiare del diritto di prelazione agraria per l’acquisto dei fondi confinanti, e tale è attualmente l’opinione prevalente tra gli interpreti, pur rimanendo qualche dubbio in attesa di una presa di posizione della giurisprudenza.

La famiglia coltivatrice
Le norme sui contratti agrari dispongono che in presenza di impresa familiare coltivatrice, il rapporto di affitto ed ogni altro rapporto agrario “intercorrono tra concedente e famiglia coltivatrice, la quale é rappresentata nei confronti del concedente, se questi lo richiede, da uno dei suoi familiari” (art. 48 della legge 3 maggio 1982, n. 203).
In precedenza, la Corte di Cassazione, con un orientamento ormai consolidato, riteneva che il diritto di prelazione spettasse solo al coltivatore diretto titolare del contratto di affitto, e non ai familiari che collaboravano con lui (si veda per esempio Cass. n. 1875 del 12 marzo 1983). Successivamente, la giurisprudenza ha ribadito questo principio, affermando che la nuova norma non potesse trovare applicazione ai rapporti di affitto già in corso al momento della sua entrata in vigore (si veda per esempio Cass. n. 7641 del 16 maggio 2003; Cass. 8598 del 22 giugno 2001).
Da ciò si potrebbe ricavare che, per i contratti di affitto stipulati dopo l’entrata in vigore della legge 3 maggio 1982, n. 203, il diritto di prelazione dell’affittuario è riconosciuto alla famiglia coltivatrice, e non solo al capofamiglia che risulta formalmente come titolare del contratto di affitto.  Non è chiaro, però, se il diritto di prelazione spetti alla famiglia coltivatrice nel suo insieme, oppure a ciascuno dei soggetti che partecipano alla coltivazione del fondo quali membri della famiglia coltivatrice.
Ricordiamo che è considerato membro della famiglia coltivatrice il familiare che presta il proprio lavoro nella normale conduzione del fondo, quando l’attività agricola è esercitata in comune, in modo continuativo, dai familiari (si veda per esempio Cass. n. 1382 del 04 febbraio 1993; Cass. n. 7468 del 13 dicembre 1986), anche se in parte dediti ad altre attività (Cass. n. 8444 del 2 agosto 1995).
La famiglia coltivatrice è stata a volte assimilata dalla giurisprudenza alla società semplice, soprattutto in passato, ma oggi è più propriamente riconducibile all’impresa familiare di cui all’art. 230-bis del codice civile. Risulta difficile, dunque, giustificare l’estensione del diritto di prelazione a soggetti diversi dal titolare dell’impresa, che rimane unico. Non risultano, peraltro, sentenze della Corte di Cassazione che abbiano espressamente riconosciuto il diritto di prelazione, né alla famiglia coltivatrice né ai suoi membri, pur essendo passati più di trent’anni dall’entrata in vigore della legge sui contratti agrari.
La giurisprudenza ha invece esplicitamente escluso che si possa estendere ai membri (non comproprietari) della famiglia coltivatrice (o comunione familiare) il diritto di prelazione del confinante, perché in questo caso il diritto prescinde dall’esistenza di un contratto agrario, quindi non può trovare applicazione l’art. 48 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (si veda per esempio Cass. n. 2896 del 26 marzo 1999; Cass. n. 2424 del 26 marzo 1990; Cass. n. 3622 del 2 maggio 1990; Cass. n. 4299 del 25 giugno 1988; Cass. n. 1911 del 23 febbraio 1988; Cass. n. 7474 del 13 dicembre 1986; Cass. n. 1875 del 12 marzo 1983; Cass. n. 4718 del 26 agosto 1982; Cass. n. 354 del 15 gennaio 1981; Cass. n. 2016 del 26 marzo 1980).

La prelazione dell’affittuario
L’art. 8, primo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590, prevede che “In caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno due anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.”.
Il diritto di prelazione dell’affittuario ha lo scopo di consentire la riunione in un unico soggetto della proprietà e della conduzione del fondo agricolo. Il legislatore ha ritenuto vantaggioso, per lo sviluppo dell’economia agricola, che il soggetto che conduce il fondo (purché abbia la qualifica di coltivatore diretto) abbia la possibilità di acquistarne la proprietà con precedenza rispetto ad altri soggetti, nel momento in cui il proprietario decide di venderlo. La coincidenza tra proprietà e conduzione del fondo agricolo risponde all’interesse generale, perché il proprietario è senz’altro portato, più dell’affittuario, ad apportare miglioramenti al fondo, rendendolo più produttivo anche mediante investimenti a lungo termine.
Il diritto di prelazione spetta al coltivatore diretto solo se ricorrono queste condizioni:

  • coltiva il fondo in qualità di affittuario da almeno due anni;
  • non ha venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille (salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria);
  • il fondo per il quale intende esercitare la prelazione, in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi, non supera il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia

a) Contratto di affitto in corso da almeno due anni
La coltivazione del fondo in qualità di affittuario deve essere basata su un titolo giuridico effettivo, dunque non è sufficiente un insediamento di fatto sul fondo agricolo, privo di un titolo giustificativo, e neppure un contratto di comodato (si veda per esempio Cass. n. 26286 del 31 ottobre 2008; Cass. n. 2135 del 2 aprile 1980).
Secondo la Corte di Cassazione, il coltivatore diretto può dimostrare in qualsiasi modo la qualità di affittuario, quindi, in mancanza di un contratto di affitto registrato, la qualità di affittuario può essere provata anche per testimoni e per presunzioni (Cass. n. 15526 del 7 dicembre 2000).
Il diritto di prelazione non spetta in presenza di un contratto di affitto scaduto (Cass. n. 10174 del 17 ottobre 1997). E’ dubbio, invece, se possa essere riconosciuto il diritto di prelazione al subaffittuario coltivatore diretto.
La giurisprudenza ha escluso il diritto di prelazione in caso di affitto di terreno pascolativo o in presenza di un contratto di vendita di erbe, o pascipascolo (Cass. n. 4958 del 2 marzo 2007), mentre rimane dubbio il diritto di prelazione nell’ipotesi di affitto di terreno boschivo.
Perché sorga il diritto di prelazione, è necessario che il coltivatore diretto sia da almeno due anni affittuario del fondo offerto in vendita. L’insediamento sul fondo da almeno due anni dovrebbe garantire un minimo di stabilità nella coltivazione da parte del coltivatore diretto, tale da giustificare il diritto di preferenza che gli viene concesso. Il periodo minimo, originariamente fissato in quattro anni, è stato dimezzato dall’art. 7 della legge n. 817 del 1971.
La giurisprudenza ha precisato che il biennio va calcolato ad anno solare, e non ad annata agraria, e deve trattarsi di un periodo interamente decorso, ma non occorre che il titolo che attribuisce il diritto di coltivare il fondo sia unico per tutto il biennio (Cass. n. 1970 del 27 aprile 1978; Cass. n. 1971 del 12 febbraio 2002).
Inoltre, il periodo biennale va calcolato con riferimento al momento della stipula del contratto preliminare di vendita del fondo (Cass. n. 8658 del 9 agosto 1991).

b) Assenza di vendite nel biennio precedente
La vendita, nel biennio precedente, di altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille preclude il diritto di prelazione (salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria). Il legislatore, infatti, ha considerato la vendita di altri fondi nel periodo immediatamente precedente come comportamento speculativo incompatibile con l’intento di coltivare la terra.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che si debba fare riferimento sia al reddito dominicale sia quello agrario, cioè al reddito totale del fondo, mancando un’espressa limitazione al solo reddito dominicale (si veda per esempio Cass. n. 11271 del 30 luglio 2002; Cass. n. 8899 del 16 agosto 1995; Cass. n. 1946 del 26 febbraio 1994).
Per ricomposizione fondiaria si intende la permuta o la vendita finalizzata all’acquisto di terreni allo scopo di ottenere l’accorpamento di unità poderali più ampie (Cass. 26 febbraio 1994, n. 1946).
La prova della mancata alienazione nel biennio di fondi, secondo la giurisprudenza, può essere fornita anche con una certificazione notarile redatta sulla base delle visure ipotecarie limitate alla conservatoria dei registri immobiliari competente in base alla residenza dell’affittuario (Cass. n. 6402 del 23 giugno 1999; Cass. n. 1932 del 25 febbraio 1994).

c) Superficie e capacità lavorativa
Il fondo per il quale il coltivatore diretto intende esercitare la prelazione, in aggiunta agli altri eventualmente posseduti in proprietà o enfiteusi, non deve superare il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.
Il rapporto tra la superficie del fondo e la capacità lavorativa del coltivatore diretto e della sua famiglia è una caratteristica essenziale della figura del coltivatore diretto, presente nella definizione dettata dall’art. 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590. L’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, nell’indicare le condizioni richieste perché il coltivatore diretto abbia il diritto di prelazione, aggiunge però un elemento importante, disponendo che per verificare il rispetto di questo rapporto bisogna tenere conto sia del fondo che il coltivatore diretto intende acquistare nell’esercizio della prelazione, sia dei fondi che eventualmente siano già di sua proprietà (o in enfiteusi). Infatti, se sommando i fondi già posseduti con quelli da acquistare si dovesse superare il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa del coltivatore diretto e della sua famiglia, l’acquirente perderebbe i requisiti per essere considerato coltivatore diretto, e di conseguenza anche il diritto alla prelazione.
La giurisprudenza ha precisato che l’accertamento dei requisiti richiesti dalla legge deve essere condotto con particolare rigore, per scongiurare intenti speculativi e salvaguardare le finalità sociali dell’istituto (Cass. n. 15899 del 20 luglio 2011).

La prelazione del confinante
L’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 dispone che il diritto di prelazione previsto dal primo comma dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, “spetta anche (…) al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti”.
Questa norma ha ampliato le fattispecie di prelazione agraria, concedendola anche a favore del proprietario coltivatore diretto di fondo confinante con quello offerto in vendita, ma solo in mancanza di un affittuario coltivatore diretto. La finalità prevalente, dunque, rimane quella di consentire la riunione in un unico soggetto della proprietà e della conduzione del fondo agricolo. Ad essa si aggiunge però quella di favorire la creazione di aziende agricole di maggiore estensione, attraverso l’accorpamento dei fondi limitrofi, sempre in presenza della qualifica di coltivatore diretto.
Questa tendenza all’accorpamento avrebbe dovuto essere agevolata, nelle intenzioni del legislatore, fino al raggiungimento della massima dimensione aziendale coltivabile con la forza lavoro della famiglia diretto-coltivatrice. All’epoca questa dimensione era ancora piuttosto piccola, mentre oggi è cresciuta notevolmente, grazie alla meccanizzazione. Peraltro, è cresciuta di pari passo anche la dimensione richiesta alle aziende agricole per essere competitive sul mercato.
Il diritto di prelazione agraria per l’acquisto del fondo confinante spetta anche agli imprenditori agricoli professionali (Iap) iscritti nella gestione previdenziale agricola dell’Inps (art. 1, terzo comma, della legge 28 luglio 2016, n. 154, che ha introdotto il numero 2-bis nel primo comma dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817).
La nuova norma, in vigore dal 25 agosto 2016, ha portato una piccola rivoluzione per il mondo agricolo, modificando la regola tradizionale, consolidata da oltre cinquant’anni, secondo cui il diritto di prelazione agraria spettava soltanto ai coltivatori diretti.
Il diritto di prelazione agraria riconosciuto all’imprenditore agricolo professionale non è però lo stesso del coltivatore diretto. La legge, infatti, lo ha limitato espressamente all’ipotesi della vendita di un fondo confinante con quello di cui è proprietario l’imprenditore agricolo professionale, mentre il coltivatore diretto ha il diritto di prelazione agraria anche sulla vendita del fondo di cui egli è affittuario.
L’imprenditore agricolo professionale, dunque, ha il diritto di prelazione quando viene venduto un fondo agricolo confinante con quello di sua proprietà, ma non in caso di vendita del fondo da lui condotto in affitto. La prelazione sul fondo condotto in affitto rimane riservata all’affittuario che abbia la qualifica di coltivatore diretto.
Anche in seguito all’estensione del diritto di prelazione all’imprenditore agricolo professionale, rimangono comunque ferme tutte le regole previste per la prelazione agraria del confinante.

Perché sia riconosciuto il diritto di prelazione, l’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 richiede che:

  • il proprietario del fondo confinante lo coltivi direttamente;
  • sul fondo offerto in vendita non sia insediato un affittuario coltivatore diretto.

Devono inoltre essere presenti le condizioni previste dall’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, pertanto:

  • il confinante deve coltivare il fondo da almeno due anni;
  • il confinante non deve aver venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille (salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria);
  • il fondo per il quale il confinante intende esercitare la prelazione, in aggiunta a tutti gli altri da lui posseduti in proprietà od enfiteusi, non deve superare il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia

a) Fondo coltivato direttamente dal proprietario
Perché sorga il diritto di prelazione, è necessario che il proprietario del fondo, confinante con quello offerto in vendita, lo coltivi personalmente. Non è sufficiente che egli abbia la qualifica di coltivatore diretto in relazione ad altri fondi da lui coltivati. La prelazione spetta solo al proprietario del fondo confinante che lo coltiva direttamente, non essendo sufficiente che egli eserciti l’attività di coltivatore diretto su fondi diversi rispetto a quelli confinanti (si veda per esempio: Cass. n. 1712 del 27 gennaio 2010; Cass. n. 8595 del 22 giugno 2001; Cass. n. 13927 del 27 dicembre 1991).
Se il fondo confinante è concesso in affitto o in comodato a un familiare del proprietario, il diritto di prelazione non spetta dunque né al proprietario (perché non coltiva il fondo confinante), né all’affittuario del fondo confinante (perché non ne è proprietario).
La giurisprudenza ha anche ribadito che perché sussista il diritto di prelazione è sufficiente che il proprietario del fondo confinante lo coltivi direttamente, a prescindere dall’iscrizione nel registro delle imprese (Cass. 2505 del 21 febbraio 2002), e indipendentemente dall’estensione del fondo confinante, che può essere anche minima, purché non sia tale da escludere la possibilità della sua coltivazione (Cass. n. 3901 del 18 febbraio 2010; Cass. n. 2505 del 21 febbraio 2002; Cass. n. 5456 del 15 maggio 1991).
Secondo la giurisprudenza, il diritto di prelazione non spetta a chi eserciti sul fondo confinante solo l’allevamento del bestiame (Cass. n. 11134 del 27 luglio 2002), e neppure a chi si limita a tagliare l’erba che cresce spontaneamente sul terreno, attività che non comporta alcun atto di gestione produttiva del fondo (Cass. n. 5682 del 16 marzo 2005).
Il coltivatore diretto deve essere già proprietario del fondo confinante nel momento in cui è sottoscritto il contratto preliminare di compravendita. La giurisprudenza, infatti, ha stabilito che il diritto di prelazione e riscatto non spetta al coltivatore diretto che abbia acquistato la proprietà del terreno confinante con il fondo offerto in vendita dopo la stipula del contratto preliminare (Cass. n. 4112 del 6 aprile 1993; Cass. n. 1875 del 16 febbraio 1993; Cass. n. 4105 del 12 maggio 1990).
La giurisprudenza aveva anche escluso che spettasse il diritto di prelazione al coltivatore diretto che ha acquistato il fondo confinante con patto di riservato dominio, prima del pagamento dell’ultima rata del prezzo e comunque prima della scadenza del termine previsto dalle parti per il versamento anticipato del prezzo, perché nella vendita con riserva della proprietà diventa proprietario del bene soltanto quando il prezzo è stato interamente versato (Cass. n. 1090 del 3 febbraio 1998; Cass. n. 3630 del 14 giugno 1982). Successivamente, però, la legge ha esteso espressamente il diritto di prelazione agli assegnatari dei fondi acquistati dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), che sono appunto acquirenti con patto di riservato dominio (art. 8 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99).

b) Assenza di affittuario coltivatore diretto
Il diritto di prelazione è espressamente escluso dalla legge se sul fondo offerto in vendita sono insediati “mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti”.
La presenza, sul fondo offerto in vendita, di un affittuario coltivatore diretto, esclude dunque il diritto di prelazione del confinante, nonostante la presenza degli altri requisiti previsti dalla legge.
La norma è formulata in modo tale che la presenza di un affittuario coltivatore diretto sul fondo offerto in vendita non attribuisce all’affittuario il diritto di essere preferito, nell’acquisto, ai proprietari confinanti, ma esclude completamente il diritto di prelazione dei confinanti. Il diritto di prelazione del confinante è dunque escluso anche se l’affittuario rinuncia al diritto di prelazione a lui spettante.
Sono stati avanzati alcuni dubbi, invece, sulla sorte del diritto di prelazione del confinante nel caso in cui sul fondo sia presente un affittuario coltivatore diretto che non ha ancora il diritto di prelazione, perché coltiva il fondo da meno di due anni.
Secondo l’interpretazione prevalente, seguita anche dalla giurisprudenza più recente, la presenza sul fondo di un affittuario coltivatore diretto, purché stabile e non fittizia, esclude il diritto di prelazione del confinante, anche se l’affittuario coltiva il fondo da meno di due anni (si veda per esempio Cass. n. 10227 del 26 luglio 2001; Cass. n. 10626 del 26 ottobre 1998; Cass. n. 8579 del 6 agosto 1991; Cass. n. 5757 del 1 luglio 1987; Cass. n. 116 dell’11 gennaio 1986). La conseguenza è che il fondo può essere venduto liberamente, senza che alcuno possa esercitare un diritto di prelazione.
C’è chi ritiene, invece, che per escludere il diritto di prelazione del confinante sia necessaria la presenza di un affittuario coltivatore diretto insediato sul fondo da almeno due anni, e dunque avente diritto di prelazione (Cass. n. 2523 del 21 marzo 1997).
A causa di questi dubbi interpretativi, poiché nella maggior parte dei casi l’acquirente del fondo affittato è lo stesso affittuario, la prassi è sempre stata orientata nel senso di attendere il decorso del biennio, in modo di escludere con certezza la prelazione del confinante.
La giurisprudenza ha comunque precisato che per escludere la prelazione del confinante è necessario l’insediamento stabile ed effettivo di un affittuario, in forza di un contratto di durata indefinita (Cass. n. 3661 del 18 aprile 1996; Cass. n. 11087 del 10 ottobre 1992).
Non sarebbe sufficiente, dunque, un insediamento precario, né un contratto di affitto simulato dopo aver concluso il contratto preliminare di compravendita, al solo fine di eludere le norme sulla prelazione (si veda per esempio Cass. n. 1112 del 20 gennaio 2006; Cass. n. 8717 del 9 agosto 1995). In questo caso, però, può essere difficile, per il confinante, dimostrare la presenza di un contratto preliminare sottoscritto prima del contratto di affitto.
Non può avere rilevanza neppure un insediamento di fatto nella coltivazione del fondo, cioè in assenza di regolare contratto di affitto, né un contratto di comodato (Cass. n. 5072 del 5 marzo 2007).
Il confinante, dunque, ha diritto di prelazione se l’affittuario ha rinunciato alla coltivazione del fondo, risolvendo il contratto di affitto o rinunciando alla proroga legale dello stesso in concomitanza con la vendita del fondo da parte del proprietario o le relative trattative (anche se il rilascio del fondo avviene in una data successiva), come pure in presenza di un contratto di affitto che si avvicina alla sua naturale scadenza (si veda per esempio Cass. n. 10626 del 26 ottobre 1998; Cass. n. 2590 del 18 marzo 1994; Cass. n. 4954 del 16 agosto 1988; Cass. n. 3322 del 4 giugno 1985; Cass. n. 4840 del 14 luglio 1983; Cass. n. 6223 del 21 novembre 1981).
Non è rilevante, invece, che dopo la vendita del fondo a un terzo il coltivatore diretto affittuario rinunci volontariamente alla coltivazione del fondo o rinunci alla proroga del contratto nei confronti dell’ acquirente, trattandosi di vicende successive al momento in cui avrebbe potuto sorgere il diritto di prelazione (Cass. n. 4944 del 12 agosto 1988).
La giurisprudenza, inoltre, ha precisato che il diritto di prelazione del confinante non è escluso dalla presenza di un contratto di affitto a favore di un soggetto che non abbia la qualifica di coltivatore diretto, cioè che non coltivi direttamente il fondo (il cosiddetto affittuario “capitalista”, espressione utilizzata talvolta dalla dottrina per indicare colui che conduce l’impresa agricola utilizzando esclusivamente manodopera salariata). In questo caso il confinante ha diritto di prelazione (Cass. n. 8579 del 6 agosto 1991; Cass. n. 10391 del 27 ottobre 1990; Cass. n. 5757 del 1 luglio 1987; Cass. n. 5417 del 19 agosto 1983; Cass. n. 6836 del 13 dicembre 1982; Cass. n. 6223 del 21 novembre 1981; Cass. n. 1697 del 24 marzo 1981; Cass. n. 6504 del 15 dicembre 1980).

c) Coltivazione almeno biennale
Perché sorga il diritto di prelazione, è necessario che il proprietario del fondo confinante lo coltivi da almeno due anni.
La giurisprudenza, infatti, ha affermato che il diritto di prelazione è attribuito dall’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 917, ai proprietari di terreni confinanti, alle stesse condizioni cui è concesso dall’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, ai coltivatori diretti affittuari del fondo offerto in vendita, compreso il periodo minimo di coltivazione del fondo (si vedano, per esempio, Cass. n. 3269 del 26 marzo 1991; Cass. n. 2482 del 10 marzo 1987; Cass. n. 177 del 10 gennaio 1984; Cass. n. 6261 del 24 ottobre 1983; Cass. n. 3875 del 6 giugno 1983; Cass. n. 3175 del 9 maggio 1983; Cass. n. 2347 del 22 aprile 1981; Cass. n. 5305 del 18 settembre 1980).
Il periodo minimo di due anni, però, si riferisce esclusivamente alla coltivazione diretta del fondo, e non anche al diritto di proprietà, che deve sussistere solo al momento della stipula del contratto preliminare di compravendita del fondo oggetto di prelazione. Ha dunque diritto di prelazione anche chi ha appena acquistato il fondo confinante con quello offerto in vendita, purché lo coltivi da almeno due anni, anche se non come proprietario ma in forza di altro titolo idoneo (Cass. n. 11095 del 10 novembre 1993; Cass. n. 417 del 19 gennaio 1987; Cass. n. 1133 del 24 febbraio 1986; Cass. n. 4945 del 11 ottobre 1985; Cass. n. 1725 del 27 febbraio 1985; Cass. n. 5336 del 22 ottobre 1984; Cass. n. 3470 del 19 maggio 1983; Cass. n. 1871 del 12 marzo 1983Cass. n. 5299 del 13 ottobre 1982).
La Corte di Cassazione ha però precisato che la coltivazione almeno biennale deve essere avvenuta sulla base di un titolo idoneo (per esempio un contratto di affitto) e non di una detenzione non qualificata del fondo, come per esempio quella che deriva dalla mera tolleranza dell’avente diritto (Cass. n. 1971 del 12 febbraio 2002; Cass. n. 4105 del 12 maggio 1990).

d) Assenza di vendite nel biennio precedente
Anche nel caso del confinante, la vendita, nel biennio precedente, di altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille preclude il diritto di prelazione (salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria). Il legislatore, infatti, ha considerato la vendita di altri fondi nel periodo immediatamente precedente come comportamento speculativo incompatibile con l’intento di coltivare la terra.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che si debba fare riferimento sia al reddito dominicale sia a quello agrario, cioè al reddito totale del fondo, mancando un’espressa limitazione al solo reddito dominicale (Cass. n. 11271 del 30 luglio 2002; Cass. n. 8899 del 16 agosto 1995; Cass. n. 1946 del 26 febbraio 1994).
Per ricomposizione fondiaria si intende la permuta o la vendita finalizzata all’acquisto di terreni allo scopo di ottenere l’accorpamento di unità poderali più ampie (Cass. 26 febbraio 1994, n. 1946).
La prova della mancata alienazione nel biennio di fondi, secondo la giurisprudenza, può essere fornita anche con una certificazione notarile redatta sulla base delle visure ipotecarie limitate alla conservatoria dei registri immobiliari competente in base alla residenza dell’affittuario (Cass. 23 giugno 1999, n. 6402; Cass. 25 febbraio 1994, n. 1932).

e) Superficie e capacità lavorativa
Il fondo per il quale il coltivatore diretto intende esercitare la prelazione, in aggiunta a tutti gli altri posseduti in proprietà o enfiteusi, non deve superare il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.
Il rapporto tra la superficie del fondo e la capacità lavorativa del coltivatore diretto e della sua famiglia è una caratteristica essenziale della figura del coltivatore diretto, presente nella definizione dettata dall’art. 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590. L’art. 8, nell’indicare le condizioni richieste perché il coltivatore diretto abbia il diritto di prelazione, aggiunge però un elemento importante, disponendo che per verificare il rispetto di questo rapporto bisogna tenere conto sia del fondo che il coltivatore diretto intende acquistare nell’esercizio della prelazione, sia dei fondi che sono già di sua proprietà (o in enfiteusi). Infatti, se sommando i fondi già posseduti con quelli da acquistare si dovesse superare il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa del coltivatore diretto e della sua famiglia, l’acquirente perderebbe i requisiti per essere considerato coltivatore diretto, e di conseguenza anche il diritto alla prelazione.
Questo requisito è stato ribadito dalla giurisprudenza anche con specifico riferimento al diritto di prelazione del confinante (Cass. n. 1393 del 23 febbraio 1983; Cass. n. 758 del 09 febbraio 1982).
In seguito all’estensione del diritto di prelazione agraria al confinante imprenditore agricolo professionale, sono stati avanzati dubbi sull’applicazione del requisito relativo al rapporto tra la superficie del fondo e la capacità lavorativa, che è proprio del coltivatore diretto (anche per il riferimento alla famiglia), mentre sembra estraneo alla figura dell’imprenditore agricolo professionale. La lettera della legge, però, non sembra consentire l’esclusione di un requisito, che porterebbe a favorire l’imprenditore agricolo professionale rispetto al coltivatore diretto.
Ricordiamo peraltro che secondo la giurisprudenza l’accertamento dei requisiti richiesti dalla legge deve essere condotto con particolare rigore, per scongiurare intenti speculativi e salvaguardare le finalità sociali dell’istituto (Cass. n. 15899 del 20 luglio 2011).

Fonte "Federnotizie"