FIMAA VARESE

Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese

DIA e SCIA: norme e giurisprudenza sui profili problematici

 lunedì 29 gennaio 2018 | in NEWS

Il presente itinerario è dedicato agli istituti della DIA e della SCIA, previsti dall’art. 19, L. n. 241/1990, norma oggetto di numerosi interventi legislativi, finalizzati alla sostituzione del “tradizionale provvedimento amministrativo” con la dichiarazione del privato. Nel contributo, dopo l’esame del quadro normativo e dei principali interventi legislativi, vengono esaminate le posizioni giurisprudenziali sui singoli profili problematici. Va precisato che alcuni temi sorti mentre erano ancora in vigore l’istituto della DIA oggi possono ancora essere considerati attuali con riferimento alla SCIA.

In tema di edilizia gli istituti della DIA e della SCIA sono spesso utilizzati come sinonimi.
Silvana Bini ha dedicato un approfondimento al tema che è stato ripreso da Urbanistica ed appalti, la rivista bimestrale  edita da Ipsoa dedicata alla materia edilizia, all'urbanistica, agli appalti e ai lavori pubblici.

Quadro normativo: dalla DIA alla SCIA
L’istituto della DIA viene introdotto con l’art. 19 della L. n. 241/1990, che prevede, in tutti i casi in cui l’esercizio di un’attività privata, sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, che l’attività possa essere intrapresa su denuncia di inizio dell’attività stessa da parte dell’interessato all’amministrazione competente.
Il procedimento si articola in due fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione; una seconda, in cui può esercitarsi l’autotutela amministrativa.
La norma è stato oggetto di numerosi interventi legislativi; si riportano le disposizioni principali, che hanno maggiormente inciso sulla disciplina dell’istituto e a cui è conseguito un maggior dibattito giurisprudenziale.
Il primo intervento rilevante si deve all’art. 2, comma 10, L. 24 dicembre 1993, n. 537 e all’art. dall’art. 3, comma 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, che hanno ampliato l’ambito di applicazione della disposizione, prevedendo che “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, alla tutela della salute e della pubblica incolumità, del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, nonché degli atti imposti dalla normativa comunitaria, è sostituito da una dichiarazione dell’interessato corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste”.
Con l’art. 9, comma 3, L. 18 giugno 2009, n. 69 viene introdotta la c.d. “super DIA”, che introduce la possibilità di iniziare l’attività dalla data della presentazione della dichiarazione all’amministrazione competente, esclusivamente per attività di impianti produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi di cui alla Dir. 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, compresi gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta.
L’istituto è stato modificato integralmente dal D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che ha sostituto la DIA con la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), prevedendo la possibilità di avviare l’attività oggetto della segnalazione dalla data della presentazione di questa, all’amministrazione competente.
La SCIA ha però dei limiti oggettivi, precisati nel comma 1: si deve infatti trattare di provvedimento il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi.
Con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, viene introdotto il comma 6 bis per disciplinare la materia edilizia, riducendo il termine di sessanta giorni a trenta giorni.
La novità più rilevante, che vuole offrire un chiarimento alle incertezze sorte nella prassi, ma diviene foriera di ampio dibattito, è l’art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 13 agosto 2011, n. 138 convertito nella L. 14 settembre 2011, n. 148, che introduce il comma 6 ter “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”.
Seguono poi le modifiche apportate dal D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164, L. n. 124/2015, in base al quale, in caso di accertata carenza dei suddetti presupposti, l’Amministrazione può adottare “motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi” nonché - ove possibili - provvedimenti diretti alla conformazione dell’attività ai requisiti di legge, purché proceda in tal senso entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione certificata del privato (comma 3) ovvero trenta giorni “nei casi di SCIA in materia edilizia”.
Viceversa, una volta decorsi i suddetti termini, “l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 (ma in tal caso) alle condizioni previste dall’articolo 21-nonies”.
Viene quindi chiarito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Secondo il nuovo quadro normativo al fine di contestare la sussistenza dei presupposti dell’attività segnalata da altro soggetto, il terzo ha facoltà di sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione, esperire - in caso di inerzia di quest’ultima - esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104.
Da ultimo, la L. 7 agosto 2015, n. 124, ha modificato l’art. 19, commi 3 e 4, prevedendo che l’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, disponendo la sospensione dell’attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l’adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure stesse, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata.
Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’art. 21 nonies.
A sua volta il decreto ha modificato l’art. 21 introducendo il limite di 18 mesi per esercitare l’autotutela, aggiungendo il comma 2 bis (I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del T.U. di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445).

Rapporto tra disciplina statale e regionale
Le norme sui titoli abilitativi sono espressione di principi fondamentali in materia di “governo del territorio” di cui all’art. 117, comma 3, Cost. (Corte Cost. sentenze nn. 259/2014, 139/2013, 109/2013 e 303/2003).
Nell’ambito della materia concorrente “governo del territorio”, i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale (sent. n. 259 del 2014, n. 139 e n. 102 del 2013, n. 303 del 2003), e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio attività (DIA) e per la SCIA che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi (Corte Cost. sent. n. 121 del 2014, n. 188 e n. 164 del 2012).
Per tale ragione la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 164/2012 ha ritenuto non fondate le questioni sollevate da alcune Regioni, per lesione alla competenza regionale (Non sono fondate le q.l.c. dell’art. 49, commi 4 bis e 4 ter, L. 31 maggio 2010, n. 78, conv., con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122, censurato nella parte in cui, qualificando la disciplina della “segnalazione certificata di inizio attività” (SCIA), contenuta nel comma 4 bis, che modifica l’art. 19, L. 7 agosto 1990, n. 241, come attinente alla tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. e), Cost., e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lett. m), e prevedendo che “le espressioni segnalazione certificata di inizio attività” e “SCIA sostituiscono, rispettivamente, quelle di ‘dichiarazione di inizio attività’ e ‘DIA’”, non solo riguardo alla previgente normativa statale, ma anche a quella regionale, consentirebbe al privato di iniziare l’attività edilizia senza attendere alcun termine, restando alla p.a. solo il potere di intervenire successivamente, quando i lavori sono già avviati (o anche finiti), con un danno urbanistico ormai prodotto, con interferenza nelle competenze regionali della materia del “governo del territorio”, ai sensi del comma 3 dell’art. 117 Cost.; violerebbe i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi dall’art. 114 Cost., all’autonomia dei poteri degli enti locali, e le funzioni amministrative dei comuni disposte dall’art. 118 Cost., l’art. 3 Cost., con riguardo ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, e l’art. 97 Cost.; nonché le q.l.c. dell’art. 5, commi 1, lett. b) e 2, lett. b) e c), D.L. n. 70 del 2011, conv., con modificazioni, L. n. 106 del 2011, nella parte in cui tale articolo conferma o dispone l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui - attraverso il nuovo comma 6 bis dell’art. 19, L. n. 241 del 1990 - introduce un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia. L’ambito applicativo della disciplina, diretto alla generalità dei cittadini, trascende la materia della concorrenza e giustifica il richiamo al livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, permettendo una restrizione dell’autonomia legislativa delle regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione; ne consegue che il riconoscimento della possibilità di dare immediato inizio ad una determinata attività, fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della P.A., ricorrendone gli estremi, e fatto salvo il potere della stessa p.a. di assumere determinazioni in via di autotutela, assicura la prestazione specifica di una attività amministrativa, circoscritta all’inizio della fase procedimentale, strutturata secondo un modello ad efficacia legittimante immediata, che attiene al principio di semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare l’iniziativa economica, tutelando il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della P.A. competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima, che può riguardare anche la materia edilizia, come ora in modo espresso dispone l’art. 5, comma 1, lett. b), e comma 2, lett. b) e c), D.L. n. 70 del 2011, conv., con modificazioni, L. n. 106 del 2011, entro i limiti e con le esclusioni previsti (sent. n. 29, 406 del 1995, 282 del 2002, 120, 285, 383 del 2005, 134, 248, 328, 447 del 2006, 169, 387, 401 del 2007, 1, 50, 168, 222, 371 del 2008, 322 del 2009, 10, 207 del 2010).

Con sentenza n. 49/2016 la Corte Costituzionale ha invece ritenuto costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, comma 3, Cost., l’art. 84 bis, comma 2, lett. b), L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, che stabilisce la possibilità per l’Amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in un numero più ampio di ipotesi rispetto alla previsione statale. Nell’ambito della materia concorrente del “governo del territorio”, i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio attività (DIA) e per la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), che si inseriscono in una fattispecie, il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi. Tale fattispecie ha una struttura complessa e non si esaurisce, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in due fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione; una seconda, in cui può esercitarsi l’autotutela amministrativa. Anche le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano esauriti i termini prescritti dalla normativa statale, devono considerarsi il necessario completamento della disciplina dei titoli abitativi, poiché l’individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi. La disciplina di questa fase ulteriore è, dunque, parte integrante del titolo abilitativo e costituisce un tutt’uno inscindibile. Il suo perno è costituito da un istituto di portata generale - quello dell’autotutela - che si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo e il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altra. Ne deriva che la disciplina de qua costituisce espressione di un principio fondamentale della materia “governo del territorio”. La normativa regionale, nell’attribuire all’Amministrazione un potere di intervento, lungi dall’adottare disposizioni di dettaglio, ha introdotto una disciplina sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale, toccando i punti nevralgici del sistema elaborato nella legge sul procedimento amministrativo e con tutti i rischi per la certezza e l’unitarietà dello stesso.
La normativa regionale nell’attribuire all’Amministrazione un potere di intervento, lungi dall’adottare una disciplina di dettaglio, ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale; pertanto viene proprio a toccare i punti nevralgici del sistema elaborato nella legge sul procedimento amministrativo (sede già di per sé significativa) e cioè il potere residuo dell’Amministrazione, a termini ormai decorsi, e il suo ambito di esercizio (in concreto, i casi che ne giustificano l’attivazione).
Essa, dunque, comporta l’invasione della riserva di competenza statale alla formulazione di principi fondamentali, con tutti i rischi per la certezza e per l’unitarietà della disciplina che tale invasione comporta; e ciò tanto più in una materia che, come è noto, e come dimostrano le sue frequenti modifiche, presenta delicati e complessi problemi applicativi.

La disciplina del D.L. n. 138/2011: la SCIA sostituisce la DIA?
Si è ritenuto che con l’introduzione del comma 6 ter il legislatore non abbia effettuato solo un intervento legislativo di tipo interpretativo della preesistente disciplina, ma abbia previsto una nuova strumentazione di tutela dei soggetti terzi e nuovi adempimenti (le “sollecitazioni” che prima non esistevano). Per tale ragione si deve distinguere le fattispecie di SCIA o DIA consolidatesi prima o dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione, e quindi si può applicare la figura del silenzio diniego (con correlata azione di annullamento) alle fattispecie consolidatesi prima della vigenza dell’art. 6 ter (T.A.R. Venezia, (Veneto), Sez. II, 11 aprile 2013, n. 535 - T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis, 23 aprile 2013, n. 4117; T.A.R. Lazio, Sez. II, 10 aprile 2013, n. 3642; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 6 marzo 2013, n. 1247).
Nel settore edilizio, anche alla luce della circ. 16 ottobre 2010 del Ministero per la semplificazione normativa - “Segnalazione certificata di inizio attività. Art. 49, commi 4 bis ss., legge n. 122 del 2010”, si è ritenuto che la SCIA abbia sostituito del tutto la DIA: sulla base delle innovazioni legislative, si deve ritenere che la SCIA sostituisce la DIA edilizia, ma non la super -DIA, alternativa quest’ultima al permesso di costruire e prevista sia nella normativa statale che regionale. (T.A.R. Venezia, (Veneto), Sez. II, 5 marzo 2012, n. 299).

DIA/SCIA: strumento di semplificazione o di liberalizzazione?
Un primo orientamento ritiene che l’art. 19, L. n. 241/1990 introduca uno strumento di semplificazione dell’azione amministrativa.
Secondo diverso orientamento si tratta invece di un mezzo di liberalizzazione dell’attività del privato.
Tale distinzione, non è solo teorica, ma comporta una diversa qualificazione del potere di controllo e inibitorio della P.A., oltre che di revoca ed autotutela, nonché un diverso inquadramento della tutela del terzo leso dalla presentazione della DIA.
Qualificando la DIA come mezzo di semplificazione si ritiene illegittimo il provvedimento comunale di “divieto inizio attività edilizia” che sia intervenuto quando risultavano ormai decorsi i termini di legge entro i quali l’amministrazione può esercitare i poteri inibitori relativamente agli interventi oggetto di DIA, e ciò in quanto, in un’ottica di semplificazione procedimentale, nel caso della DIA con il decorso del termine fissato dal legislatore, si forma un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, i cui effetti potranno essere inibiti soltanto a seguito dell’annullamento in via di autotutela da parte dell’amministrazione, che infatti a tale riguardo non perde i propri poteri sanzionatori a fronte di interventi rivelatisi in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (T.A.R. Venezia, (Veneto), Sez. II, 15 giugno 007, n. 1949; Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550).
Se invece si ritiene che l’art. 19 preveda un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, la DIA è qualificata come atto di natura privata, per cui viene a non essere più necessaria l’emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione; il potere di verifica di cui dispone l’Amministrazione, a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo, non sarebbe finalizzato all’emanazione dell’atto amministrativo di consenso all’esercizio dell’attività, bensì al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall’interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l’attività in questione (Cons. Stato, Sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2919, T.A.R. Napoli, (Campania), Sez. VIII, 24 maggio 2016, n. 2637).

Natura giuridica della DIA/SCIA
Il vivace dibattito sulla natura giuridica della DIA sorge soprattutto in ambito edilizio, in relazione al problema del limite temporale di intervento della P.A. e della tutela del terzo.
Prima dell’intervento normativo “chiarificatore” del D.L. n. 138/2011, si erano formate due posizioni principali.
Secondo un primo orientamento la DIA è un provvedimento tacito autorizzatorio, per cui con il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA, si forma un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della DIA o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di DIA (Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550).
A questo orientamento si contrappone chi invece qualifica la DIA come atto privato attestante la sussistenza di requisiti per l’esercizio di un diritto che la legge stessa riconosceva (La DIA consiste nella liberalizzazione di determinate attività il cui inizio costituirebbe un diritto del cittadino non più sottoposto ad un preventivo atto di assenso della P.A., ma solo ad un sistema di controlli successivi di tipo repressivo, secondo lo schema “norma-fatto-effetti”. Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453, che ha espressamente escluso che si tratti di un provvedimento tacito, con la conseguenza che il potere repressivo della P.A., pur essendo riconducibile all’autotutela decisoria, non è comunque esercizio di attività amministrativa di secondo grado; nello stesso senso, T.A.R. Marche, 7 luglio 2003, n. 315; T.A.R. Marche, 6 dicembre 2001, n. 1241 che ha altresì la possibilità di impugnazione diretta della DIA da parte del terzo controinteressato sostanziale; T.A.R. Liguria, 22 gennaio 2003, n. 113, Sez. IV del Cons. Stato, 22 luglio 2005, n. 3916).
L’intervento dell’Adunanza Plenaria 15/2011 risolve il contrasto, escludendo la natura provvedimentale della denuncia di inizio attività, che non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge. A questa qualificazione consegue che: il silenzio serbato dalla P.A. nel termine perentorio previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio a fronte della presentazione di una DIA produce l’effetto giuridico di precludere all’Amministrazione stessa l’esercizio del potere inibitorio a seguito dell’infruttuoso decorso del termine perentorio all’uopo sancito dalla legge, qualificandosi pertanto come esercizio di potere amministrativo attraverso l’adozione di un provvedimento tacito negativo, equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio.
Si configura quindi come un provvedimento per silentium con cui la P.A., esercitando in senso negativo il potere inibitorio, riscontra che l’attività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedire l’inizio o la protrazione dell’attività dichiarata.
Tale ipotesi si differenzia dal silenzio-rifiuto (che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale) e dal silenzio accoglimento - o assenso - di cui all’art. 20, L. 7 agosto 1990, n. 241 (che presuppone la sussistenza di un potere ampliativo di stampo autorizzatorio o concessorio); nel caso di DIA, infatti, il silenzio serbato dall’Amministrazione nel termine perentorio previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio, producendo l’esito negativo della procedura finalizzata all’adozione del provvedimento restrittivo, integra l’esercizio del potere amministrativo attraverso l’adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio.
Nel caso di DIA, il terzo che si ritenga leso dallo svolgimento dell’attività dichiarata e dal mancato esercizio del potere inibitorio, venendo in rilievo un provvedimento per silentium, può esperire l’azione impugnatoria ai sensi dell’art. 29 del codice del processo amministrativo - da proporre nell’ordinario termine decadenziale, che decorre solo dal momento della piena conoscenza dell’adozione dell’atto lesivo - la quale può essere ritualmente accompagnata, ai fini del completamento della tutela, dall’esercizio di un’azione di condanna (c.d. di adempimento) dell’Amministrazione all’esercizio del potere inibitorio.
Il terzo che subisce da una denuncia di inizio di attività una lesione in un arco di tempo anteriore al decorso del termine perentorio fissato dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio della Pubblica amministrazione, può esperire innanzi al G.A. una azione di accertamento tesa ad ottenere una pronuncia che verifichi l’insussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della denuncia, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti all’Autorità amministrativa.
Nell’ipotesi in cui la piena conoscenza della presentazione della DIA si è verificata in uno stadio anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo per la proposizione del ricorso da parte del terzo pregiudicato dalla DIA coincide con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive; a completamento ed integrazione dell’azione di annullamento del silenzio significativo negativo, è contestualmente esperibile il rimedio dell’azione di condanna pubblicistica (c.d. azione di adempimento) tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990.
Con l’introduzione del comma 6 ter all’art. 19 ad opera del D.L. n. 138/2011, si colma un vuoto normativo in ordine ad uno specifico mezzo di tutela del terzo nella materia in questione. Tale norma ha riconosciuto la natura di atto privato alla DIA, statuendo, altresì, che la stessa non costituisce un provvedimento tacito direttamente impugnabile e che al privato interessato spetta esclusivamente la tutela del silenzio, previa sollecitazione dei poteri dell’amministrazione. Essa, pertanto, atteso il suo contenuto, costituisce norma innovativa (quanto alla tutela esperibile, alla necessaria condizione della previa sollecitazione, alla natura di atto privato della DIA) e non di interpretazione autentica; inoltre, costituisce norma, che ancorché preveda il tipo di tutela esperibile e ponga una condizione all’azione, è sostanziale e non processuale, attesa la sua collocazione sistematica e il suo contenuto, volto essenzialmente a definire la natura giuridica della DIA e a modificare profondamente la disciplina sostanziale dell’istituto (T.A.R. Catanzaro, (Calabria), Sez. II, 5 agosto 2015, n. 1328).
Anche dopo l’adunanza Plenaria e dopo l’entrata in vigore il comma 6 ter dell’art. 19 con il D.L. n. 138/2011 non sono mancate sentenze in cui si è ritenuto di attribuire alla presentazione della DIA/SCIA, seguita dal silenzio dell’amministrazione, la valenza di un atto amministrativo tacito avverso cui svolgere le necessarie tutele (Cons. Stato, Sez. IV, n. 1493/2015, resa su una SCIA presentata nel corso del 2013 nella quale si afferma che il provvedimento repressivo della SCIA può assimilarsi ad un atto di autotutela nella misura in cui elimina l’effetto giuridico (assenso all’intervento) prodottosi per effetto congiunto della segnalazione e del decorso del termine previsto dalla legge per emettere l’atto repressivo, contraddicendo le affermazioni dell’Adunanza Plenaria che aveva escluso che sulla DIA - e quindi anche sulla SCIA - potesse formarsi una provvedimento tacito di assenso alla attività oggetto di denuncia).

Poteri della P.A.
Possono distinguersi tre tipologie di poteri dell’Amministrazione: potere inibitorio, potere sanzionatorio e potere di autotutela.

Potere inibitorio
Secondo la disciplina introdotta con la prima formulazione dell’art. 19, la P.A. può intervenire per inibire l’inizio dell’attività, entro 60 (30 giorni in edilizia ai sensi dell’art. 23, commi 1 e 6, d.P.R. n. 380/2001) dalla presentazione.
Decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241 (T.A.R. Roma, (Lazio), Sez. II, 10 dicembre 2013, n. 10682).
In materia edilizia è stato precisato che il potere inibitorio previsto dall’art. 23, comma 6, T.U. 6 giugno 2001, n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio di trenta giorni, potendo successivamente essere emanati soltanto provvedimenti d’autotutela e sanzionatori, in quanto alla scadenza del detto termine matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati e indicati nella denuncia di inizio attività, restando fermo al contempo il potere dell’Amministrazione comunale di provvedere non più con provvedimento inibitorio ma con provvedimento sanzionatorio di tipo ripristinatorio o pecuniario, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi (Cons. Stato, II Sezione, 17 ottobre 2007, n. 1698, Sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3916 e T.A.R. Napoli, Sez. II, 27 giugno 2005, n. 8707, T.A.R. Potenza, (Basilicata), Sez. I, 17 ottobre 2013, n. 609).
Il termine per esercitare il potere inibitorio è perentorio (Cons. Stato, Sez. VI, 14 dicembre 2012, n. 5751; T.A.R. Venezia, Sez. II, 11 aprile 2013, n. 535; T.A.R. Lecce, Sez. III, n. 1937/2013).
Una volta decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio è esperibile solo l’esercizio di un potere di autotutela che, in quanto tale, non può prescindere dall’applicazione dei principi regolatori sanciti dalla legge sul procedimento, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo (T.A.R. Venezia, (Veneto), Sez. II, 15 febbraio 2013, n. 230).
Si è esclusa la necessità di inviare il preavviso di rigetto, in quanto l’istituto della denuncia di inizio di attività evidenzia profili di incompatibilità con le nuove norme di ordine generale dettate in tema di comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza; in particolare l’adozione del provvedimento con il quale l’amministrazione comunale ordina al privato di non effettuare l’intervento da lui denunciato non deve essere preceduta dalla comunicazione di cui all’art. 10 bis, L. n. 241/1990 ostando in tal senso non solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività non può, letteralmente, considerarsi una “istanza di parte”, ma anche (e soprattutto) la speciale disciplina “della notifica all’interessato” dell’“ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”, dove già è prevista la motivazione dell’ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene comunque fatta “salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia” (T.A.R. Lombardia, Sez. II, 19 ottobre 2011, n. 2478, T.A.R. Umbria, 19 dicembre 2012, n. 537).

Potere di autotutela
Secondo l’orientamento prevalente (prima della nuova disciplina normativa), decorso il termine per esercitare il potere inibitorio, l’Amministrazione può intervenire anche oltre il termine di 60 o 30 giorni ma solo alle condizioni cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dell’attività già effettuata per effetto della DIA ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo. Infatti, il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di DIA, è perentorio, ma anche dopo il suo decorso la P.A. conserva un potere residuale di autotutela; peraltro, tale potere residuale, con il quale l’Amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, deve essere esercitato nel rispetto del limite del termine ragionevole e, soprattutto, sulla base di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 5 marzo 2015, n. 1410; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 21 novembre 2014, n. 4799). Una volta scaduti i suddetti termini, il potere dell’amministrazione di inibire gli effetti della SCIA resta soggetto agli stessi presupposti previsti dalla legge per l’annullamento d’ufficio, tra l’obbligo di previa valutazione delle “ragioni di interesse pubblico” giustificative del provvedimento repressivo. Ne deriva che, in quest’ultimo caso, il potere dell’amministrazione di interdire la prosecuzione dell’attività segnalata ha natura discrezionale e non doverosa.
Il T.A.R. Veneto, Sez. II, 12 ottobre 2015, n. 1038, sottolinea la differenza di contenuti tra i poteri di annullamento di SCIA e DIA che l’art. 19, L. n. 241/1990 attribuisce all’Amministrazione, e la revisione nell’ipotesi in cui sia un soggetto terzo a sollecitare l’azione dell’amministrazione ai sensi del comma 6 ter. Il sistema delineato dall’art. 19, L. n. 241 del 1990, nel rafforzare la tutela di affidamento del privato che abbia presentato una DIA o una SCIA, ha previsto la tassatività dei casi in cui alla Amministrazione è consentito di intervenire dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel senso che, fuori dalle situazioni individuate al comma 3 (falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la difesa nazionale), le Amministrazioni non possono intervenire. Tuttavia, il comma 6 ter, nel porre un obbligo all’Amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4, altrimenti l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa sarebbe contrario agli artt. 24, 111 e 113 Cost.

Potere di autotutela e sollecitazione del privato
La tutela del terzo innanzi al Giudice Amministrativo in caso di DIA o di SCIA, si realizza con l’impugnazione del silenzio mantenuto dall’amministrazione sulla diffida volta a provocare l’esercizio dei poteri di vigilanza alla stessa spettanti. Il potere di sollecitazione, pur non richiedendo formule sacramentali, deve però “possedere una serie di minimi requisiti per così dire di ‘serietà’, tali da renderla idonea a porre in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i propri poteri di verifica e correlativamente a configurare, in caso di inerzia della P.A. stessa, un silenzio inadempimento” (così T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, n. 1075/12).
L’Amministrazione tuttavia non ha alcun obbligo di provvedere al riesame di un’istanza di revoca o di riesame di un provvedimento edilizio o di un titolo abilitativo divenuto oramai inoppugnabile (Cons. Stato, Sez. IV, 23 febbraio 2012, n. 984).
Una prospettiva interpretativa sostiene che la facoltà del controinteressato di proporre l’istanza inibitoria ex art. 19, comma 6 ter sarebbe soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni, valido anche per la proposizione dell’ordinario ricorso annullatorio, termine che, in caso di SCIA, decorrerebbe dalla data in cui l’istante ha avuto notizia della segnalazione per esso lesiva. La tesi è sostenuta da Cons. Stato, Sez. IV, n. 5161/2015 cit. e ripresa dalle sentenze del T.A.R. Lombardia (Milano) Sez. II, 30 novembre 2016, n. 2274, 15 aprile 2016, n. 735 e 5 dicembre 2016, n. 2301, le quali precisano inoltre che il terzo, una volta decorso il suddetto termine decadenziale, non rimane del tutto privo di strumenti di reazione, ma conserva, nei confronti dell’Amministrazione, il potere di diffida all’adozione di atti di autotutela.
Una diversa tesi richiama il termine annuale di cui all’art. 31, comma 2, c.p.a., ritenendo che il terzo debba sollecitare l’amministrazione nell’anno dal deposito della SCIA presso i competenti uffici: il termine di un anno stabilito dall’art. 31 c. proc. amm., nel caso di ricorso proposto per una segnalazione certificata di inizio attività, decorre da quando il terzo ha avuto piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica. (Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610).
Dopo la riforma dell’art. 21 nonies, L. n. 241/1990 (operato con il D.L. n. 133 del 2014, convertito nella L. n. 164/2014), per cui è esclusa la possibilità di procedere ad annullamento d’ufficio nei casi di provvedimenti già non annullabili dal giudice amministrativo nella ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 21 octies, comma 2, con due importanti modifiche: a) la fissazione del termine massimo di diciotto mesi per la valida adozione dell’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori e attributivi di vantaggi economici; b) la previsione, con il comma aggiunto 2 bis, della possibilità di annullare, anche dopo quel termine, i provvedimenti ottenuti sulla base di dichiarazioni false, ma solo quando la falsità è stata accertata in sede penale con sentenza passata in giudicato, si rafforza la tutela dell’affidamento.
Con la modifica dell’art. 19, comma 4, L. n. 241 del 1990, operata dall’art. 6, comma 1, lett. a), L. 7 agosto 2015, n. 124, decorso il termine ordinario (di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6 bis, dello stesso art. 19), l’amministrazione competente può adottare i medesimi provvedimenti di inibizione e di conformazione in presenza delle condizioni previste dall’art. 21 nonies. L’art. 2, comma 4, D.Lgs. n. 222 del 2016, ha inoltre chiarito che i diciotto mesi iniziano a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l’esercizio dei poteri ordinari di verifica da parte dell’Amministrazione competente. La rimozione d’ufficio di un atto favorevole esige una articolata esplicitazione delle ragioni, di interesse generale che impongono l’eliminazione dell’atto invalido, attraverso la chiara esemplificazione degli effetti concreti che si assumono contrastanti con i valori tutelati dall’ordine legale infranto, per come atteggiantesi nello specifico contesto empirico e non per come astrattamente considerati dalla disciplina normativa (Cons. Stato sez. VI 27 gennaio 2017, n. 341).
Venuto meno il potere inibitorio o se non è stato esercitato quello di autotutela decisoria, può trovare applicazione l’art. 21, L. n. 241 del 1990, espressione del generale potere repressivo che la P.A. conserva (T.A.R. Roma, (Lazio), Sez. II, 10 marzo 2017, n. 3395).

Problemi di applicazione del diritto transitorio
Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la norma introdotta dalla L. 7 agosto 2015, n. 124, è applicabile in ogni caso in cui il provvedimento di autotutela sia intervenuto successivamente alla novella legislativa, ancorché riguardi un titolo abilitativo rilasciato sotto il regime precedente (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 17 marzo 2016, n. 351; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 22 settembre 2016, n. 4373; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 4 gennaio 2017, n. 65; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I bis, 21 febbraio 2017, n. 2670; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 7 febbraio 2017, n. 92). Secondo l’opposto orientamento ai fini dell’applicazione della regola del tempus regit actum (art. 11 delle preleggi), l’atto di autotutela dovrebbe considerarsi non un provvedimento autonomo bensì un atto rientrante nel procedimento aperto dall’atto di primo grado, con conseguente insensibilità del procedimento amministrativo alle norme giuridiche nel frattempo sopravvenute (Cons. Stato, Sez. V, 19 gennaio 2017, n. 250, secondo cui il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa. Si arriverebbe infatti all’irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione. È fatta salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990. Quanto al rispetto del parametro della ragionevolezza del termine, deve aggiungersi che - per quanto i diciotto mesi non possano considerarsi (per i motivi anzidetti) ancora decorsi - è anche vero che la novella non può non valere come prezioso indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell’osservanza della regola di condotta in questione (Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5625). La decifrazione della nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione da parte dell’amministrazione, deve essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche. (Cons. Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462).

DIA non conforme, false dichiarazioni e potere sanzionatorio
Nelle procedure evidenziali il c.d. falso innocuo è istituto insussistente atteso che la completezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire, consentendo la celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla selezione, anche in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e di proporzionalità; pertanto, una dichiarazione che è inaffidabile perché, al di là dell’elemento soggettivo sottostante, è falsa o incompleta, deve ritenersi già di per sé stessa lesiva degli interessi considerati dalla norma, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti sostanzialmente di partecipare. L’intero sistema della disciplina delle procedure di evidenza pubblica poggia sulla presentazione, da parte delle imprese concorrenti, di dichiarazioni sostitutive che le vincolano in base all’elementare principio dell’autoresponsabilità e che devono essere rese con diligenza e veridicità (Cons. Stato, Sez. IV, 7 luglio 2016, n. 3014).
A seguito di presentazione di denuncia di inizio attività (o di segnalazione certificata di inizio attività), con lo spirare del termine concesso dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio si consolida in capo al privato una situazione di particolare affidamento che può essere sacrificata solo attraverso l’esercizio di un potere assimilabile a quello di autotutela. Di conseguenza, a fronte di una d.i.a (o di una SCIA), l’Amministrazione non può adottare un provvedimento sanzionatorio senza preventivamente rimuovere il titolo che aveva assentito la realizzazione delle opere, poiché le dichiarate carenze ed irregolarità progettuali, se effettivamente sussistenti, avrebbero tutt’al più autorizzato l’esercizio del potere di autotutela. T.A.R. Milano, (Lombardia), Sez. II, 24 ottobre 2014, n. 2447; Cons. Stato, Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4780).
La rappresentazione di una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente costituisce, vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, e dunque, ex se, integrante ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo (T.A.R. L’Aquila, (Abruzzo), Sez. I, 19 marzo 2015, n. 163: nella sentenza si precisa che a differenza del silenzio rifiuto, che costituisce un mero comportamento omissivo, ossia un silenzio non significativo e privo di valore provvedimentale, il silenzio serbato dall’Amministrazione sulla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA, già DIA), producendo l’esito negativo della procedura, finalizzata all’adozione del provvedimento restrittivo, integra l’esercizio del potere amministrativo attraverso l’adozione di un provvedimento tacito negativo equiparato dalla legge ad un, sia pure non necessario, atto espresso di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio. Tale esito “negativo”, per espressa indicazione normativa (art. 19, comma 3, seconda parte, L. n. 241/1990), non si produce, tuttavia, in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà “false o mendaci”, situazione che abilita l’Amministrazione ad assumere i provvedimenti repressivi “sempre e in ogni tempo”. La rappresentazione di una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente costituisce, infatti, vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, e dunque, ex se, integrante ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo.).
L’errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della DIA, poiché frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest’ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la sanatoria della DIA mancante di un requisito essenziale; di conseguenza, il provvedimento con cui l’Amministrazione accerta che le opere edili non potevano essere realizzate mediante DIA, occorrendo il permesso di costruire, non è espressione di autotutela, ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all’attività di vigilanza edilizia, tanto più che il dichiarante non può, per le ragioni anzidette, vantare nessun affidamento. (T.A.R. Bari, (Puglia), Sez. II, 20 febbraio 2017, n. 147).

Secondo il T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 5 aprile 2016, n. 1658, “all’esito delle modifiche alla L. n. 241 del 1990 apportate dalla L. n. 124 del 2015 (c.d. riforma Madia), l’art. 19, comma 3, conferma il potere dell’Amministrazione di inibire motivatamente l’attività intrapresa con SCIA e rimuoverne gli effetti dannosi in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1 del medesimo articolo, entro il termine di sessanta giorni (o trenta in materia edilizia) dalla presentazione”, ritenendo inoltre che “nella nuova disciplina scompare il riferimento alla ‘autotutela’ e i poteri di intervento dell’Amministrazione, decorsi i trenta o sessanta giorni previsti dalla legge per l’inibitoria ‘ordinaria’, transitano nel comma 4, (i) subendo un ampliamento del raggio di azione, che non è più limitato al pericolo di un danno per i cc.dd. interessi sensibili, ma (ii) potendo essere esercitati solo ‘in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies’ L’art. 21 nonies, L. n. 241 del 1990, riscritto dalla L. n. 124 del 2015, e applicabile alla SCIA in forza del succitato richiamo di cui all’art. 19, comma 4, dispone per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici che entro un termine ‘non superiore a diciotto mesi’ non è più consentito l’annullamento d’ufficio; detto termine, in forza del neo introdotto comma 2-bis del medesimo articolo, può essere derogato solo per ‘i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato’”.

Tutela del terzo
Quali azioni può promuovere il terzo che ritiene di essere stato leso dall’attività oggetto di DIA o SCIA?
Si riportano i principali orientamenti della giurisprudenza, prima dell’intervento dell’Adunanza Plenaria 15/2011 e del D.L. n. 138/2011.
Secondo una prima posizione il mancato esercizio del potere di verifica dell’Amministrazione dà luogo ad un provvedimento tacito di assenso all’attività segnalata, per cui il terzo leso da tale attività deve esercitare l’ordinaria azione di annullamento avverso il suddetto titolo tacito (Cons. Stato, Sez. IV, 25 novembre 2008, n. 5811; id., 29 luglio 2008, n. 3742; id., 12 settembre 2007, n. 4828: Cons. Stato, Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550).
Il contrapposto orientamento ritiene che il terzo pregiudicato da una DIA/SCIA deve proporre un’azione di accertamento negativo dei presupposti dell’attività segnalata. In caso di accoglimento l’Amministrazione deve ottemperare ai contenuti della pronuncia giudiziale nel successivo esercizio dei poteri repressivi (Cons. Stato, Sez. VI, 9 marzo 2009, n. 717; Con. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 2139; Cons. Stato, Sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5161). il controinteressato ha onere di attivare un procedimento di verifica dei presupposti della SCIA separato ed autonomo rispetto a quello ufficioso disciplinato dal comma 3 dell’art. 19 (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 23 ottobre 2015, n. 4998).
Il comma 6 ter dell’art. 19, riservando al terzo la possibilità di sollecitare l’amministrazione ad effettuare le verifiche di sua competenza e contemplando altresì la possibilità che avverso il silenzio mantenuto su tale istanza il terzo possa tutelarsi mediante l’azione ex art. 31 c.p.a., ha evidentemente presupposto che in esito alla presentazione della SCIA e della D.i.a. non si formi alcun provvedimento espresso o tacito e che pertanto le istanze sollecitatorie del terzo non hanno la finalità di eccitare dei poteri di autotutela amministrativa di secondo grado (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 1° luglio 2015, n. 1114; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 30 novembre 2016, n. 2274; id., 15 aprile 2016, n. 735; id., 21 gennaio 2014, n. 2799; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 5 marzo 2015, n. 1410; T.A.R. Veneto, Sez. II, 12 ottobre 2015, n. 1038 e n. 1039).
Secondo la diversa posizione lo strumento per assicurare protezione giuridica al terzo è data dall’azione avverso il silenzio serbato dall’amministrazione nel procedimento di verifica ufficiosa dei presupposti della SCIA. In caso di accoglimento della domanda, dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 19 comma 3, segue la condanna dell’Amministrazione ad esercitare il potere inibitorio avente carattere doveroso e vincolato (Cons. Stato, Sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948); ovvero, secondo altra interpretazione, l’ordine all’amministrazione stessa di attivare l’autotutela decisoria (avente invece contenuto discrezionale: Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2002, n. 4453).
L’Adunanza Plenaria ha in parte risolto i contrasti, affermando che la scadenza dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e 6 bis, senza che l’amministrazione abbia esercitato i poteri inibitori di cui alle medesime norme, dà luogo alla formazione di una determinazione tacita di conclusione negativa dell’accertamento in ordine ad eventuali vizi della segnalazione nonché di diniego di esercizio delle suddette potestà repressive; con conseguente onere per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento l’azione di annullamento entro l’ordinario termine decadenziale, termine che, decorre dalla data di acquisita conoscenza, da parte del terzo medesimo, dell’iniziativa per lui pregiudizievole.
Il controinteressato che ha impugnato il silenzio negativo, benché siano scaduti i termini per l’adozione dei suddetti provvedimenti inibitori, ha comunque diritto “ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale”; perciò egli può sempre proporre, congiuntamente all’azione di annullamento del diniego tacito, la c.d. azione di adempimento, tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990.
Nelle more della formazione del titolo tacito, il terzo che abbia avuto conoscenza dell’iniziativa segnalata può proporre un’azione di accertamento autonoma in ordine alla legittimità o meno della SCIA (azione suscettibile di conversione automatica in mezzo impugnatorio in caso di emanazione dell’atto conclusivo del procedimento di verifica) nonché, congiuntamente a tale azione, chiedere la tutela interinale di cui agli artt. 55 e 61 c.p.a.
Con l’introduzione del comma 6 ter dell’art. 19, L. n. 241/1990, vengono disciplinati espressamente gli strumenti di tutela del terzo a fronte della segnalazione di un’attività privata per esso lesiva.
La citata previsione supera il quadro indicato a suo tempo dalla sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria al terzo.
L’art. 19, comma 6 ter, consente al terzo che si reputa leso dalla presentazione della DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il comma 6 ter, secondo periodo, contiene a tale proposito la parola “esclusivamente”, introdotta in sede di conversione dal decreto legge), vale a dire la sollecitazione all’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, al proposizione dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs. n. 104/2010, cioè l’azione contro il silenzio della P.A. (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez II, 12 aprile 2012, n. 1075, T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. III, 1° agosto 2013, n. 1202).
Il comma 6 ter cit. ha di fatto determinato il superamento, quanto meno parziale, delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria del Cons. Stato n. 15 del 2011: detta ultima disciplina legislativa ha previsto che la tutela della posizione giuridica soggettiva del terzo, a seguito del deposito di una DIA (ora SCIA) ritenuta lesiva, debba comportare l’esperimento “in via esclusiva”, dell’azione in materia di silenzio e di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, determinando il venir meno del dibattito giurisprudenziale e dottrinario diretto a rilevare se, a seguito del decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio si produceva un atto tacito o, al contrario, se risultava in essere un titolo idoneo a legittimare l’esercizio di un’attività privata e determinando, nel concreto, il superamento delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria sopra citata e, ciò, per quanto attiene l’ammissibilità, rispettivamente, sia dell’azione di annullamento (nell’ipotesi in cui fosse spirato il termine per l’esercizio del potere inibitorio) sia, nel contempo dell’azione di accertamento nell’eventualità in cui il termine di cui sopra non sia ancora spirato (T.A.R. Lecce, Sez. III, 18 settembre 2013, n. 1937 e T.A.R. Veneto 11 aprile 2013, n. 535).
L’istanza di esercizio del potere inibitorio riguardante una denuncia di inizio attività deve essere inoltrata all’amministrazione - pena la tardività del giudizio istaurato avverso il provvedimento che dà ad essa riscontro - non oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla conoscenza della denuncia stessa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5161).
Secondo differente orientamento non vi è infatti alcuna norma che ponga un termine entro il quale il terzo deve formulare la predetta istanza, non contenendo l’art. 19 della L. n. 241 del 1990 alcuna prescrizione in proposito (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 1° luglio 2015, n. 1114, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 15 aprile 2016, n. 735).
Secondo quest’ultimo orientamento, con specifico riferimento alla DIA/SCIA in materia edilizia, la Sezione, in alcune recenti pronunce, ha avuto modo di affermare i seguenti principi: a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del potere inibitorio; b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima (potere inibitorio puro); c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela; d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione si pronuncia sulla sua istanza (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 30 novembre 2016, n. 2274).
Il termine di un anno stabilito dall’art. 31 c.p.a., nel caso di ricorso proposto per una segnalazione certificata di inizio attività, decorre da quando il terzo ha avuto piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica. (Cons. Stato, Sez. VI, 3 novembre 2016, n. 4610).
Partendo dall’assunto che il potere sollecitato con l’azione avverso il silenzio (proposta dopo il decorso dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e 6 bis) sia quello inibitorio e non quello di autotutela, caratterizzato invece da alto tasso di discrezionalità, e che il legislatore - laddove ha richiamato il comma 3 dell’art. 31 c.p.a. - ha implicitamente riconosciuto che gli strumenti di reazione del privato, di cui al comma 6 ter dell’art. 19, sono volti a stimolare la (sola) potestà inibitoria dell’Ente pubblico e non anche il suo intervento in autotutela, Il T.A.R. Toscana ha rimesso alla Corte Costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all’art. 6, par. 3, del Trattato UE, e 117, comma 2, lett. m), Cost., la questione di legittimità dell’art. 19, comma 6 ter, L. 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui omette di prevedere il termine entro il cui il terzo può avanzare l’istanza di sollecitazione delle verifiche sulla SCIA ha infatti osservato che “il meccanismo di tutela del terzo congegnato dall’art. 19, comma 6 ter, L. n. 241/1990 richiede, per la sua concreta operatività, l’individuazione di tre distinti termini: il primo è il termine entro il quale il terzo deve sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione, presentando la relativa istanza; il secondo è il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi su tale istanza, ovvero quel lasso temporale decorso il quale, come dice la norma, essa deve considerarsi inerte; l’ultimo è il termine entro il quale il terzo deve esperire l’azione avverso il silenzio mantenuto dall’amministrazione sulla sua richiesta di provvedere. Il secondo e terzo termine siano agevolmente rinvenibili; il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza sollecitatoria del privato, ancorché non fissato espressamente dalla norma in considerazione, è tuttavia agevolmente rinvenibile dal sistema con richiamo alla disciplina generale codificata dall’art. 2, L. n. 241/1990, secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa espressa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte devono tutti concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell’amministrazione competente; il termine per la proposizione dell’azione sul silenzio è invece fissato espressamente dall’art. 31 c.p.a., il cui secondo comma precisa che quest’ultima può proporsi fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. Non risulta invece fissato dall’art. 19, comma 6 ter, L. n. 241/1990, né ricavabile dal sistema, il termine entro il quale il terzo deve presentare la propria istanza di sollecitazione delle verifiche amministrative, con apertura della possibilità interpretativa in base alla quale il terzo resterebbe sempre libero di presentare l’istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente serbato dall’Amministrazione (T.A.R. Firenze, (Toscana), Sez. III, 11 maggio 2017, n. 667).

Profili sulla giurisdizione
Ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a, n. 3, del codice del processo amministrativo, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di dichiarazione di inizio attività in tutti i casi in cui l’iniziativa proposta da parte del terzo miri a far valere l’interesse legittimo leso dal non corretto esercizio del potere amministrativo di verifica della conformità dell’attività dichiarata rispetto al paradigma normativo.
Sussiste la giurisdizione del GA nell’ipotesi di impugnazione del provvedimento con il quale l’Amministrazione intimata ha deciso di non esercitare i poteri inibitori sollecitati dalla ricorrente Si tratta infatti di controversia che non riguarda esclusivamente le posizioni dei privati, ma che si rivolge innanzitutto avverso un atto dell’autorità amministrativa, anche se poi tale atto viene, fra l’altro, censurato deducendo proprio la violazione delle norme dettate in materia di distanze. Le questioni dedotte non attengono quindi a posizioni di diritto soggettivo ma, proprio perché collegate all’esercizio del potere pubblico, si riferiscono a posizioni di interesse legittimo, di cui non può che conoscere il giudice amministrativo (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 15 aprile 2016, n. 735).
Ai sensi dell’art. 133, lett. f), c.p.a. sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia avente ad oggetto, in concreto, la valutazione della legittimità dell’omissione, da parte della Pubblica amministrazione intimata, dei poteri repressivi contemplati dall’ordinamento in materia di segnalazioni certificate d’inizio d’attività, che riguardino interventi difformi dal quadro normativo di riferimento T.A.R. Potenza, (Basilicata), Sez. I, 7 dicembre 2016, n. 1101.

Fonte "Altalex - Quotidiano di informazione giuridica"