Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese
mercoledì 29 maggio 2019 | in NEWS
Non tutti sanno che per poter validamente acquistare un immobile non serve altro che una scrittura privata sottoscritta tra le parti, senza neppure interpellare il notaio. Prima però di dar adito a facili entusiasmi, soprattutto tra tutti coloro che non aspettano altro che l’abolizione del notariato dal nostro ordinamento, è bene far chiarezza sulla nostra affermazione. In effetti, l’art. 1350 del nostro codice civile stabilisce che devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili. Questo significa che per la validità dell’atto, il legislatore si accontenta della mera scrittura privata. E allora perché si va dal notaio?
In effetti, affinché un acquisto possa dirsi sicuro, non basta stipulare una vendita valida ma è necessario che sia anche una vendita opponibile. Può accadere infatti che un venditore malintenzionato, il lunedì venda l’immobile a Tizio e il giorno successivo venda lo stesso bene a Ciao. La legge, nel risolvere il conflitto tra più acquirenti, stabilisce che non prevale chi abbia acquistato prima in base ad un titolo valido bensì chi abbia trascritto prima il proprio titolo. Nel nostro caso, se Caio trascrive il suo atto prima di Tizio, prevarrà anche se ha acquistato in un momento successivo. Quindi, per poter essere davvero sicuri che chi venda, venda effettivamente a noi e non ad altri, è necessario trascrivere l’atto di compravendita. A tal fine, l’art. 2657 c.c. stabilisce che la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente. Questo significa che non ogni atto può far ingresso nei pubblici registri ma solo quelli che siano dotati di una forma legale minima che il legislatore inquadra nella scrittura privata autenticata. Anche qualora le parti decidano di stipulare una vendita per scrittura privata, per poterne poi ottenere la trascrizione dovranno rivolgersi ad un pubblico ufficiale e in particolare ad un loro notaio di fiducia che ne autentichi le firme e ne curi personalmente la pubblicità.
Spiegato il motivo per cui in questi casi è sempre necessario il ricorso al notaio, cercheremo ora di capire che differenza c’è tra atto pubblico e scrittura privata, facendo altresì luce sul motivo per cui in passato vi era un forte ricorso alla scrittura privata autenticata piuttosto che all’atto pubblico.
Atto pubblico e scrittura privata
Normalmente la legge non impone rigidi formalismi per riconoscere effetti giuridici agli accordi tra privati, accade però che in alcuni casi la legge intenda tutelare particolari interessi di carattere pubblico, richiedendo il ricorso ad una determinata forma per la stipula di un contratto. Vi sono delle ipotesi in cui la forma è richiesta per la validità dell’atto (cd. forma ad substantiam) si pensi al caso della donazione che per essere perfezionata richiede il ricorso all’atto pubblico notarile con la presenza dei testimoni o al caso della forma scritta richiesta per gli atti di compravendita immobiliare o di locazione ultranovennale. Diversamente può accadere che una data forma sia richiesta solo ai fini di darne prova in giudizio (cd. forma ad probationem), come nell’ipotesi del contratto di cessione d’azienda di cui all’art. 2556 c.c.
Ne deriva che quando la forma è richiesta ad substantiam, essa costituisce un elemento essenziale del negozio, in assenza della quale l’atto è irrimediabilmente nullo; quando invece la forma è richiesta ad probationem, se non viene rispettata, l’atto resta valido, con l’unica conseguenza che non sarà possibile darne prova in giudizio per testimoni.
In definitiva, in tutti i casi di trasferimento immobiliare, basterebbe ricorrere alla semplice scrittura privata ma, come già anticipato, la legge richiede un aggravio di forma, al fine di rispettare i requisiti richiesti dalla pubblicità immobiliare, sancendo il ricorso all’atto pubblico o alla scrittura privata autentica. Ma che differenza c’è tra i due?
L’atto pubblico è un documento redatto con particolari formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire all’atto stesso quella particolare fiducia nella sua veridicità definita “pubblica fede”. In particolare, l’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha sottoscritto e di tutto quanto egli attesti essere avvenuto in sua presenza. Si riconosce una speciale forza probatoria all’atto pubblico tanto che la parte che intende contestarne la veridicità potrà farlo solo avviando una querela di falso. Il notaio che redige un atto pubblico non solo è chiamato a rispettare le norme del codice civile che disciplinano il negozio giuridico in esso contenuto – si pensi al caso della compravendita o di un testamento pubblico – ma soprattutto al rispetto delle norme dettate della Legge Notarile inerenti la forma dell’atto stesso.
In sintesi, l’atto pubblico:
La scrittura privata invece altro non è che un documento scritto e sottoscritto solo dalle parti. Non è necessario che venga redatto secondo particolari formalità richiedendosi solo che venga sottoscritto dalle parti stesse, così da assumere la paternità del negozio che vi è contenuto. Di conseguenza, anche l’efficacia probatoria della scrittura privata differisce notevolmente da quella dell’atto pubblico, in quanto fa prova solo contro chi ha sottoscritto lo stesso, sempre che abbia riconosciuto la propria firma. La sottoscrizione delle parti può essere autenticata dal notaio e in questo caso la fede privilegiata copre la data di sottoscrizione, l’autenticità della firma nonché la provenienza della stessa da determinati soggetti, senza che possa estendersi in alcun modo sul contenuto delle dichiarazioni ivi contenute, che sono state pattuite direttamente dai privati.
Il lento oblio della scrittura privata autenticata e l’affermazione dell’atto pubblico
Il fatto che in molti casi sia equivalente il ricorso all’atto pubblico o alla scrittura privata autenticata ha portato molti notai, soprattutto nel passato, a preferire la seconda alla prima. Ma perché questa scelta?
Bisogna innanzitutto precisare che non in tutti i casi le parti si presentano dal notaio con una scrittura privata pronta e finita per essere autenticata, ma molto spesso si rivolgono al notaio, quale professionista altamente qualificato, per farsi aiutare direttamente nella redazione della stessa, senza che da ciò ne derivi la conversione da scrittura privata in atto pubblico. Come detto, soprattutto in passato, il ricorso alla scrittura privata autenticata era molto frequente e ciò per tre ordini di ragioni.
Una prima ragione va ricercata nel diverso e minore aggravio formale che segue la scrittura privata rispetto all’atto pubblico. Il notaio infatti era ben contento di prestare il proprio ministero nella redazione delle scritture private da autenticare poiché non trattandosi di atti pubblici, veniva meno il necessario rispetto di tutte le formalità richieste dalla legge notarile come, ad esempio, l’intestazione “REPUBBLICA ITALIANA”, l’indicazione per disteso della data e del luogo della stipula nonché la menzione circa l’avvenuta lettura dell’atto alle parti. Questa maggior semplicità della scrittura privata elideva anche il rischio di incorrere in vizi formali che potessero in seguito comportare l’invalidità dell’atto.
Una seconda ragione del ricorso alla scrittura privata autenticata, si rinveniva nella possibilità di rilasciare alle parti l’originale così evitando, da un lato, la repertoriazione degli atti autenticati e, dall’altro, il conseguente controllo esercitato dagli Archivi Notarili.
La terza e più rilevante ragione risiedeva nel fatto che ogniqualvolta si chiedeva al notaio di ricevere un contratto caratterizzato da elementi di criticità, che avrebbero potuto metterne “a rischio” la validità, il ricorso alla scrittura privata autenticata rispetto all’atto pubblico diveniva addirittura abnorme. Questo perché qualora fossero poi sorte contestazioni sul contenuto o sulla validità dell’atto, queste non sarebbero potute sfociare in una declaratoria di responsabilità per il notaio perché questi poteva sempre difendersi affermando che quella restava una scrittura privata tra le parti della quale si era limitato ad autenticarne le firme.
Tale prassi era avvalorata da una lettura restrittiva dell’articolo 28 della Legge Notarile il quale impone al notaio di effettuare un controllo di legalità sugli atti da lui rogati. Si riteneva che un tale obbligo di verifica fosse limitato ai soli atti pubblici, senza che si potesse estendere anche alle scritture private autenticate. Di contro, la giurisprudenza, con l’intento di porre un freno a quest’uso distorto della scrittura privata da parte dei notai, ha sempre loro riconosciuto il ruolo di garanti della legalità dell’atto anche quando al notaio venga richiesta la “sola” attività di autenticazione delle firme. A questo orientamento giurisprudenziale ha fatto seguito la riforma dell’articolo 28 che oggi espressamente dispone che “il notaio non può ricevere o autenticare atti se sono espressamente proibiti dalla legge”, così risolvendo l’antico dilemma circa l’obbligo di controllare il rispetto della legge anche con riferimento agli atti autenticati.
Oltre alla riforma dell’art. 28, vi sono anche le norme del codice deontologico notarile dalle quali si desume l’estensione del controllo di legalità sulle scritture private autenticate. L’art. 48 infatti impone al notaio autenticante di controllare la legalità del contenuto della scrittura e la sua corrispondenza alla volontà delle parti, anche mediante la lettura della stessa prima delle sottoscrizioni.
Allo stato attuale risulta quasi azzerata la distanza tra atto pubblico e scrittura privata autenticata, entrambe contraddistinte dal controllo notarile di legalità del notaio e ad oggi vi è una equiparazione tra le due sotto diversi aspetti.
Come già anticipato, atto pubblico e scrittura privata autenticata sono ugualmente idonee alla pubblicità immobiliare ed inoltre, dopo la modifica all’art. 474 c.p.c. entrambe sono validi titoli esecutivi.
Inoltre, il legislatore ha modificato l’art. 72 del Regolamento Notarile incidendo sull’obbligo di conservazione delle scritture autenticate. Oggi il notaio è tenuto a conservare nella propria raccolta tutte le scritture private autenticate soggette a pubblicità nei registri immobiliari o nel registro delle imprese. Non solo quelle aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari da trascrivere in Conservatoria ma anche tutti gli atti societari quali gli atti costituti di società di persone o la loro modifica. Quest’obbligo di conservazione permette altresì di eseguire il controllo biennale da parte degli ispettori d’archivio, momento nel quale possono emergere profili di responsabilità disciplinare del notaio, ivi compresa quella più grave dell’articolo 28.
Cosa resta della distanza tra scrittura privata e atto pubblico?
Il lento percorso di avvicinamento della scrittura privata autenticata all’atto pubblico ha di fatto eliminato il ricorso opportunistico alla prima nelle ipotesi di cui si è parlato in precedenza, tanto che oggi l’atto pubblico deve considerarsi la forma primaria e ordinaria di “atto notarile” come afferma l’art. 47 del codice deontologico, salvo che una diversa volontà delle parti o la particolare natura dell’atto non richiedano il ricorso alla scrittura privata.
Non bisogna dimenticare che la scrittura privata autenticata mantiene la sua importanza in tutte quelle occasioni in cui sia impossibile una sottoscrizione contestuale di tutte le parti di un contratto. Si pensi al caso in cui una delle parti sia in viaggio per motivi di lavoro o al contratto stipulato da due ex coniugi che non intendono rivedersi. L’atto pubblico, come detto, deve essere sottoscritto contestualmente da tutte le parti compreso il notaio mentre la scrittura privata può essere autenticata in momenti diversi, tenendo conto che gli effetti negoziali ovviamente decorreranno dall’ultima delle sottoscrizioni autenticate.
Quid iuris sull’obbligo di lettura nelle scritture private?
Accade spesso che nelle autentiche notarili si faccia menzione della preventiva lettura della scrittura alle parti anche se, come detto, in questi casi non troverebbe diretta applicazione l’articolo 51 della legge notarile che impone al notaio, tra le altre formalità, la lettura dell’atto alle parti. Deve quindi ritenersi non sussistente un simile obbligo per il notaio anche se può risultare sicuramente opportuno procedervi anche alla luce del disposto dell’art. 48 del codice deontologico, secondo il quale il notaio nell’eseguire il prescritto controllo di legalità e di rispondenza del contenuto alla volontà delle parti, può provvedervi anche mediante la lettura dell’atto. Questo però non può che significare che la lettura resta solo una delle possibili modalità attuative del controllo di legalità operato dal notaio, senza che se ne possa desumere la sussistenza di un obbligo autonomo di lettura da parte del notaio autenticante. Sul punto ha preso posizione di recente anche la Cassazione n. 12683/2017. In particolare, secondo la Suprema Corte la lettura della scrittura privata autenticata non configura un obbligo per il notaio e pertanto la sua omissione non determina l’assoggettabilità del notaio al procedimento disciplinare.
Fonte "Blog del Notaio Massimo d'Ambrosio"