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Federazione Italiana Mediatori Agenti d'Affari della provincia di Varese

Sulla validità della condizione che subordina la vendita alla concessione del mutuo: nota alla sentenza della Cassazione 11 settembre 2018 n.22046

 mercoledì 17 aprile 2019 | in NEWS

Il caso: F. agisce innanzi al Tribunale di L. per ottenere il trasferimento della proprietà di un immobile, che il convenuto G. aveva promesso di vendere all’attore con contratto preliminare. Con sentenza n.1791/2004, il Tribunale accoglie la domanda ex art. 2932 c.c.
Il convenuto impugna la sentenza, rilevando la nullità del preliminare perché contenente una condizione meramente potestativa o comunque da considerarsi illecita o impossibile.
La condizione apposta al preliminare prevedeva la stipula dell’atto definitivo solo se il promissario acquirente avesse ottenuto un mutuo necessario per il pagamento del prezzo.
A parer del ricorrente, la condizione era da ritenersi meramente potestativa in quanto la realizzabilità dell’evento era soggetta al mero potere decisionale del promissario acquirente. Inoltre, era evidente sin dall’inizio l’irrealizzabilità dell’evento dedotto in condizione, in quanto, il promissario acquirente, una volta conseguito anticipatamente il possesso del bene in forza del preliminare, non avrebbe più avuto interesse a cooperare per l’avveramento della condizione.
Dalla natura meramente potestativa della condizione discenderebbe la nullità del preliminare, ai sensi dell’art. 1355 c.c.
La Corte d’Appello rigetta il ricorso.
La questione arriva dinanzi alla Corte di Cassazione che, dichiarando infondati i motivi del ricorso, esclude la natura “meramente potestativa” della condizione de qua, richiamando dei precedenti della medesima Corte (Cass. civ. Sez. II, 18 novembre 1996 n.10074, in Mass. Giur. It., 1996; Cass. civ. Sez. III, 22 dicembre 2004 n.23824, in Mass. Giur. It., 2004).
La condizione si definisce meramente potestativa quando consiste in una mera dichiarazione di volontà della parte o in un fatto che non costituisce alcun sacrificio per chi lo deve porre in essere.[1]
Nel caso di specie, invece, la realizzazione dell’evento dedotto in condizione non dipende da una semplice manifestazione di volontà del promittente acquirente.
La concessione del mutuo dipende, infatti, non solo dalla condotta del debitore, che deve attivarsi nell’approntare la relativa pratica, ma anche da fattori esterni, quali, ad esempio, la disponibilità dell’istituto di credito.
La Suprema Corte qualifica, quindi, come “mista” la condizione apposta al preliminare, proprio perché l’avveramento della condizione dipende sia dalla volontà del promittente acquirente sia da terzi elementi.
La mancata definizione della condizione come “meramente potestativa” comporta l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 1355 c.c.
L’art. 1355 c.c. sanziona con la nullità l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo sospensivamente condizionate alla mera volontà dell’alienante o del debitore. Il legislatore prevede la sanzione della nullità, perché ritiene che la condizione meramente potestativa attesti una mancanza di serietà della parte di assumere l’impegno contrattuale ed equipara la mancanza di serietà all’assenza di volontà contrattuale.
Quando la condizione è mista, invece, l’art. 1355 c.c. non può trovare applicazione. Infatti non può in alcun modo ravvisarsi una mancanza di serietà della parte di obbligarsi, poiché l’avveramento della condizione non dipende dal mero arbitrio della stessa.
Deve quindi ritenersi valido il preliminare condizionato sospensivamente alla concessione del finanziamento.

La sentenza in commento, inoltre, affronta nuovamente una questione già dibattuta in dottrina e in giurisprudenza.
Può applicarsi l’art. 1358 c.c. al contratto cui è apposta una condizione mista?
L’art. 1358 c.c. impone a colui che ha acquistato sotto condizione sospensiva di comportarsi secondo buona fede, in pendenza di condizione, per conservare integre le ragioni dell’altra parte. Dunque si ritiene che l’omissione di una data attività possa considerarsi contraria a buona fede solo se l’attività costituisce oggetto di un obbligo giuridico.
Può quindi sostenersi che colui da cui dipende l’avveramento della condizione mista abbia l’obbligo giuridico di attivarsi per la realizzazione di tale condizione?
In passato la giurisprudenza ha ritenuto non sussistente alcun obbligo di condotta per la componente potestativa della condizione mista[2]. Il soggetto cui è rimesso il verificarsi dell’evento non avrebbe alcun obbligo giuridico, ma soltanto un potere discrezionale di realizzazione dell’evento.
La sentenza in esame è di diverso avviso.
Richiamando l’opposto orientamento della Suprema Corte a Sezioni Unite[3], la Cassazione sostiene l’esistenza di un obbligo giuridico anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista.
Difatti la condotta del contraente non può essere considerata priva del connotato di doverosità, sia perché – se così fosse – si risolverebbe in una forma di mero arbitrio, contrario alla lettera dell’art. 1355 c.c., sia perché si limiterebbe ingiustificatamente la portata dell’art. 1358 c.c. Infatti, se si aderisse a tale linea interpretativa, l’art. 1358 c.c. troverebbe unicamente applicazione con riferimento all’elemento casuale della condizione mista, cioè ad un elemento sul quale la condotta della parte ha ridotte possibilità di incidenza, mentre la posizione giuridica dell’altro contraente resterebbe in concreto priva di ogni tutela.
La Corte sottolinea come il dovere di comportarsi secondo buona fede ha ragion d’essere proprio con riferimento all’elemento potestativo, per far si che la discrezionalità contrattualmente attribuita alla parte venga esercitata nel rispetto del paradigma della correttezza.
Il principio di buona fede costituisce, quindi, criterio di valutazione e limite del comportamento discrezionale del contraente dalla cui volontà dipende (in parte) l’avveramento della condizione.
Alla luce di tali argomentazioni, deve quindi ritenersi che il promittente acquirente abbia un obbligo giuridico di attivarsi per ottenere il finanziamento, intraprendendo delle iniziative che devono corrispondere a standard di buona fede.
Ma cosa accade in caso di inerzia del promittente acquirente o nel caso in cui egli tenga una condotta impeditiva dell’avveramento della condizione?
Si può ritenere applicabile l’art. 1359 c.c., che considera avverata la condizione qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento?
La giurisprudenza non ha fornito un’univoca interpretazione in merito all’applicazione della finzione di avveramento al contratto soggetto a condizione mista.
Un primo orientamento delle Corti, al quale ha aderito la dottrina maggioritaria[4], ha ritenuto che la finzione di avveramento non fosse invocabile nel caso di condizione potestativa, né con riferimento al segmento potestativo della condizione mista.
La Cassazione ha affermato che gli effetti di cui all’art. 1359 c.c. possono prodursi se l’attività omessa è oggetto di uno specifico obbligo giuridico e se l’omissione di tale attività è fonte di responsabilità. Tuttavia, secondo tale orientamento, un obbligo non può ravvisarsi con riguardo all’attività di attuazione dell’elemento potestativo di una condizione mista, in quanto sussiste una discrezionalità decisionale del soggetto cui è rimesso il verificarsi dell’evento[5].
In altri casi, la Suprema Corte[6] ha escluso la finzione di avveramento nel caso di contratto sospensivamente condizionato alla concessione di un finanziamento, in quanto, in tal caso, la condizione sarebbe da qualificare come “bilaterale”.
Si è sostenuto, quindi, che quando entrambe le parti hanno interesse al verificarsi dell’evento dedotto in condizione, l’art.1359 c.c. non può applicarsi poiché esso sanziona esclusivamente il comportamento della parte con interesse contrario all’avveramento.
La sentenza in esame, invece, ritiene applicabile alla condizione mista la finzione di avveramento[7].
Infatti, se si sostiene che il promittente acquirente abbia un obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede, in pendenza di condizione, ne deriva che la violazione di tale obbligo debba essere “sanzionata” con la fictio di avveramento. La condizione deve considerarsi avverata se il promittente acquirente ha tenuto un comportamento idoneo ad impedire l’avveramento della condizione, in quanto si è reso inadempiente dell’obbligo di buona fede e correttezza.
Inoltre, la sentenza, rinviando a precedenti della medesima Corte[8], precisa che l’art. 1359 c.c., quando richiama la “parte che aveva interesse contrario all’avveramento della condizione”, fa riferimento anche a “coloro che abbiano dimostrato con successive condotte di non avere più interesse al verificarsi di una condizione, ponendo in essere atti tali da modificare il naturale iter attuativo dell’efficacia del contratto”. Tuttavia, affinché il mancato avveramento della condotta sia imputabile al contraente che aveva interesse contrario all’avveramento, è necessario che il creditore provi il dolo o la colpa del debitore.

Difatti l’imputabilità del fatto impeditivo deve trovare la sua base in una condotta dolosa o colposa, in una maliziosa preordinazione dell’atto impeditivo o almeno in un’azione od omissione cosciente e volontaria.[9]

[1] M.C. Diener, Il contratto in generale, Milano, 2002, 423.
[2] Cass., 5 gennaio 1983 n.9, in Giust. civ., 1983, I, 1524, con nota di M. Costanza, Finzione di avveramento e condizione potestativa; Cass., 13 aprile 1985 n.2464, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, 610, con nota di A. Belfiore; Cass., 18 novembre 1996 n.10074, in Mass. Giur. It., 1996; Cass., 22 aprile 2003 n.6423, in Contr., 2003, 1096, con nota di F. Besozzi, Presupposti applicativi della finzione di avveramento della condizione.
[3] Cass., S.U.,19 settembre 2005 n.18450, in Obbl. e contr., 2005, 2, 101. Nello stesso senso Cass., 28 luglio 2004 n.14198, in Contratti, 2005, 6, 555; Cass., 14 dicembre 2012 n.23014, in Foro It., 2013, 6, 1, 1972. In dottrina, L. Fanelli, Il compenso “condizionato” nel contratto d’opera professionale, in Obbl. e contr., 2007, 42.
[4] G. Mirabelli, Dei contratti in generale, in Commentario del codice civile, Torino, 1980, 252; A. De Cupis, Condizione potestativa e finzione di avveramento, in Giur. it., 1983, I, 1, 1719; C. M. Bianca, Diritto civile, Il contratto, Milano, 2000, 555; F. Galgano, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale (già diretto da A. Cicu – F. Messineo), III, 1, Milano, 2002, 163.
[5] Cass., 5 gennaio 1983 n.9, in Giust. civ., 1983, I, 1524, con nota di M. Costanza, Finzione di avveramento e condizione potestativa; Cass., 5 giugno 1996 n.5243, in Contratti, 1996, 6, 558; Cass., 18 novembre 1996 n.10074, in Mass. Giur. It., 1996; Cass., 11 agosto 1999 n.8584, in Giur. it., 2000, 1619; Cass., 22 aprile 2003 n.6423, in Contr., 2003, 1096, con nota di F. Besozzi, Presupposti applicativi della finzione di avveramento della condizione.
[6] Cass., 20 novembre 1996 n.10220, in Mass. Giur. It., 1996; Cass., 23 aprile 1998 n.4178, in Contratti, 1998, 4, 369; Cass., 22 dicembre 2004 n.23824, in Mass. Giur. It., 2004.
[7] Nello stesso senso, V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato (a cura di G. Iudica – P. Zatti), Milano, 2011, 634. In giurisprudenza Cass., 8 marzo 2010 n.5492, in CED Cassazione, 2010; Cass., 14 dicembre 2012 n.23014, in Foro It., 2013, 6, 1, 1972.
[8] Cass., 20 luglio 2004 n.13457, in Mass. Giur. It., 2004; Cass., 18 novembre 2011 n.24325, in CED Cassazione, 2011.
[9] Cass., 13 luglio 1984 n.4118, in Rep. Foro it., 1984, voce Contratti in genere, n.153; Cass., 8 settembre 1999 n.9511, in Giust. civ., 2000, I, 3287, con nota di C. Ciancarelli, Finzione cd. di non avveramento e condizione mista, e in Notariato, 2000, 439, con nota di R. Varano, Negozio condizionato e requisiti del comportamento inattivo ex art. 1359 c.c.; Cass., 8 marzo 2010 n.5492, in CED Cassazione, 2010.


Fonte "Federnotizie"